quelle piaghe e que’ vituperi, quest’altissimo ingegno non sarebbe egli stato infelicissimo nel tempo stesso, e non avrebbe egli forse conosciuto che le lettere rivolte all’acquisto della fama, o deludono, od affliggono chi le coltiva? E non sempre, come avvenne a Locke, i nemici della gloria de’letterati sono i faziosi, i fanatici ei maestri di trivio, ma sovente accade che due uomini grandi i quali hanno per se stessi un trono indipendente ne’ regni delle scienze, se lo contendono al pari de’ conquistatori, e poichè non hanno armi da guerreggiare generosamente, combattono con la penna tinta nel fiele e nel sangue. Chi può contendere al Tasso la gloria di eccelso poeta? Chi al Galileo la gloria di eccelso filosofo? poteano bene i pedanti fiorentini e i cortigiani ferraresi invidiare ed affliggere il Tasso: dovea l’inquisizione atterrire la verità e le labbra del Galileo, e strappare con la minaccia de’ tormenti una falsa abnegazione da quel divino intelletto. Ma la loro gloria poteva ella essere offesa da tali nemici? Ma la gloria dell’uno poteva mai mancare alla gloria dell’altro? Eppure esiste in Italia un libro che Galileo scrisse nell’età già savia di trent’anni, dove non v’è insulto, non sofisma, non amarezza che il Galileo non versi su