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capitolo secondo 107

poichè, prima d’asserire che «Romani e Longobardi erano divenuti un popolo solo» dice: «Deposero i Longobardi gli errori d’Ario, s’imparentarono coi Romani, cioè con gli antichi abitatori d’Italia.»

Ora in quanto alla religione, è cosa troppo evidente che l’averne le due nazioni una sola, avrebbe potuto bensì facilitar la riunione, ma non ha potuto operarla. Non era nemmeno una condizione necessaria; giacchè, come l’identità della religione non crea punto la concittadinanza, così la diversità di quella non basta punto a impedirla. Gl’Iloti e i Lacedemoni, citati or ora, avevano, oltre la patria materiale, comune anche la religione; e ognuno sa come fossero concittadini. Lo furono, all’opposto, in qualche tempo dell’Impero romano, cristiani e pagani: per non citare una quantità d’esempi moderni. Quest’argomento ha dunque il difetto degli altri due, cioè di far nascere un fatto immaginario da fatti, veri bensì, ma che, riguardo ad esso, non potevano esser cagioni.

Parrà forse, a prima vista, che, lo potesse essere l’altro allegato dal Muratori; ma basta la più piccola riflessione, per far vedere il contrario. I matrimoni tra persone di due diverse nazioni possono bensì far passare delle persone da una nazione nell’altra; ma identificar le due nazioni, neppur per idea. Sabini e Romani rimasero due popoli, dopo il celebre ratto; e sarebbe stato lo stesso, se anche i giovinotti sabini avessero rapite altrettante Romane. Per farne un popolo solo, ci volle un trattato positivo, con una guerra di mezzo. Nec pacem modo, sed et civitatem unam ex duabus faciunt: regnum consociant 1, dice quel Padovano che diceva mirabilmente ogni cosa; e se questa non foss’altro che un apologo, sia citata per quello a cui servon benissimo gli apologhi, cioè, non a provare, ma a render chiaro. Non ci s’opponga, di grazia, che Sabini e Romani non vivevano sullo stesso territorio. Sarebbe un tirar di nuovo nella questione una circostanza che non ci ha che fare, e dimenticarne il punto essenziale, e, di più, un punto che s’è ammesso, e nel genere e nella specie. Infatti, che due popoli possano rimaner due popoli distinti e separati politicamente, abitando lo stesso paese; che questo sia stato, per un tempo qualunque, il caso de’ Longobardi e degli Italiani; son cose ammesse, anzi affermate implicitamente da chi dice che diventaron poi un popolo solo. Ora, per far cessare quel primo fatto e produrre questo secondo, i matrimoni non avevano virtù alcuna. Non occorre nemmeno osservare che, per cagione appunto di quella distinzione e separazione, tali matrimoni dovevano essere molto rari. Fossero anche stati frequenti (come pare che, senza alcuna prova, e contro ogni probabilità, abbia supposto in questo caso il Muratori: e, certo, senza una tal supposizione, l’argomento non sarebbe neppure stato specioso), in qual maniera avrebbero operato il miracolo di far delle due nazioni una sola? Per mezzo de’ figli? Ma cosa si vuol supporre che questi fossero? Longobardi e Italiani insieme? Vorrebbe dire che avevano e non avevano certi diritti, o certe capacità, delle quali, o d’alcuna delle quali toccheremo or ora qualcosa. È egli in uno stato contradittorio e impossibile, cioè nel nulla che due cose possono unirsi, per diventare una sola? Bisogna dunque dire necessariamente che i figli di que’ matrimoni appartenessero a una nazione o all’altra: ed ecco sempre le due nazioni. E che quelli che nascevano da una Longobarda e da un Romano, dovessero appartenere alla nazione del padre, affinchè le donne non potessero portare nelle famiglie romane la nazionalità longobarda, è cosa talmente

  1. T. Liv., 1, 13.