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110 discorso storico

del regno longobardico. «Per noi altri Longobardi, Sassoni, Franchi, Lotaringi, Baioari, Svevi, Burgondioni, il nome stesso di Romano è un’ingiuria 1,» dice con altre galanterie, un Longobardo, nato probabilmente a Pavia, certamente in Italia, Liutprando, vescovo di Cremona, in risposta a Niceforo Foca, presso cui era inviato d’Ottone I, e che gli aveva detto: «Voi altri non siete Romani, ma Longobardi.» Per ciò che riguarda la nostra questione, Stefano e Liutprando non potrebbero andar più d’accordo. E si noti che quest’ultimo parlava così nel 968. Se l’unione era già compita prima della conquista suddetta, ci sarebbero due secoli di buona misura.

Si potrebbero aggiungere altri argomenti; ma ci par che questi bastino, se non son troppi, per dimostrare che quell’opinione, e non è fondata sui fatti, e gli ha contro. Piuttosto non sarà inutile l’osservare un suo carattere notabile, e un gravissimo effetto.

Il carattere è quell’indeterminatezza, quell’ambiguità, che si trova sempre nell’errore, ma di rado a questo segno. Quando si fosse ammesso a occhi chiusi, che la cosa era, resterebbe ancora da domandar cos’era; giacchè essere i Longobardi e gl’Italiani diventati un popol solo, può voler dire cose molto diverse e che si contradicon tra di loro. Anzi, la prima che volle dire (e nessuno, ch’io sappia, di quelli che adottaron poi una tale opinione, n’escluse quel senso primitivo) si risolve essa medesima in una contradizione o, per dir meglio, in un impossibile. «Si convertirono in paesani; non ritenevano di forestieri altro che il nome,» vuol dire certamente e manifestamente, che il modo speciale con cui si formò la supposta unità de’ due popoli, fu l’essere i Longobardi diventati Italiani. E l’essere i Longobardi diventati Italiani (chi pensi un momento allo stato di cose in cui si suppone che questo sia avvenuto), vuol dire essersi trovati gli uni e gli altri senza quel potere supremo, che può bensì ricevere diverse forme, ma ne richiede una; senza alcun mezzo di far, nè leggi, nè guerra, nè pace, nè trattati di sorte veruna: bella maniera d'essere un popolo! Chè tra gl’Italiani, quando furon conquistati da’ Longobardi, non c’era chi avesse alcuna di queste attribuzioni, poichè non eran altro che sudditi dell’impero greco. Si lasci da una parte la questione de’ municipi: bella e importante quistione, ma estranea alla presente; giacchè cento, mille, ventimila municipi, senza il vincolo di un’autorità comune e suprema, non costituiscono un popolo politicamente inteso (che è ciò che l’argomento richiede) più di quello che un numero qualunque di mattoni costituisca una fabbrica. La conquista fece che gl’Italiani o, per parlar più esattamente, una parte degl’Italiani, cessassero d’appartenere a uno Stato, non che diventassero uno; giacchè nessuno, credo, ha sognato che si siano eletto un capo, o de’ capi, costituiti de’ poteri, creata un’organizzazione politica, all’andarsene de’ Greci, e sotto la protezione de’ Longobardi. Non avevan nemmeno, nelle loro relazioni con questi, un nome nazionale e loro proprio: eran chiamati Romani, cioè col nome medesimo che i Sassoni, i Franchi, e gli altri signori enumerati da quel così italiano Liutprando, davano ai loro conquistati: nome che significava una classe di diversi paesi, non il popolo d’un paese, una condizione, non una nazione: nome simile, per questo riguardo (dico: per questo riguardo; e chi volesse farmi dir di più, io non ci ho colpa), a quello di servi. Siam noi che li chiamiamo Italiani; e facciamo bene; perchè il non esser contati per una nazione, non faceva che non lo fos-

  1. .... quos nos, Longobardi scilicet, Saxones, Franci, Lotharingi, Bajoarii, Suevi, Burgondiones, tanto dedignamur, ut inimicos nostros commoti, nil aliud contumeliarum, nisi, Romane, dicamus. Liutprandi Legatio ad Nicephorum Phocam; Rer. It., t. II, pag. 481.