Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/127

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capitolo terzo 121

Terzo; volendo conoscere con qualche precisione fino a che segno la facoltà di vivere con quella legge, e co’ rimasugli di quella legge, fosse un privilegio, una franchigia, un dono, bisogna però sapere al giudizio di chi fosse rimessa la legge stessa, per le riforme, per l’aggiunte, per l’interpretazioni; poichè, vogliam noi supporre una legge viva senza un legislatore? una ferrea immutabilità di prescrizioni? regole sottratte a ogni esercizio di sovranità? Questo sarebbe uno strano stato di cose, il quale presenterebbe tante considerazioni e tanti problemi, che la clemenza, quando c’entrasse, sarebbe certamente l’ultima cosa da considerarsi. Nè a spiegare un tale stato si potrebbe addurre, come un fatto simile, la storia o la storiella di Licurgo, che fece giurare agli Spartani di non toccar mai le leggi stabilite da lui; poichè queste creavano generalmente de’ poteri, e disegnavano le persone che dovevano esercitarli: erano leggi, come si direbbe ora, costituzionali, che davano i mezzi e le forme per fare tutte l’altre leggi, che le circostanze potessero richiedere; ma nel caso degli Italiani sotto i Longobardi, la legge conservata non n’avrebbe somministrato alcun mezzo. Se c’era dunque sulla legge un potere legislativo, chi n’era investito?

Quarto; di che nazione erano i giudici, che applicavano questa legge?

Ognuno vede quanto queste condizioni dovessero influire sull’esecuzione della legge stessa; e per conseguenza quanto sia necessario conoscere queste condizioni nel caso in cui si tratta.

Di documenti legislativi che possono servire a ciò non abbiamo in tutti gli atti pubblici, da Alboino fino alla conquista di Carlo, che una sola prescrizione sulla maniera d’applicare la legge romana. Ed è una legge di Liutprando, la quale prescrive a’ notai che, dovendo fare una scrittura, o secondo la legge longobardica, o secondo la romana, stiano all’una o all’altra delle due leggi; impone il guidrigilt (la multa, il risarcimento) a quelli che per ignoranza, stipulano cose contrarie alla legge seguita dai contraenti; eccettua i casi, in cui i contraenti stessi rinunziassero alla legge, in qualche parte, o in tutto 1. Questo unico e così digiuno documento fa sempre più sentire quel carattere particolare d’oscurità dell’epoca longobardica in tutto ciò che riguarda i conquistati. In tutte le altre leggi barbariche, i Romani sono nominati spesso; qualche volta con distinzioni di gradi, per lo più in circostanze che danno lume per trovar notizie importanti e applicabili a molti casi del loro stato civile e politico: ma negli atti pubblici, ma nella storia de’ Longobardi, la popolazione italiana è talmente lasciata fuori, che le ricerche intorno ad essa spesse volte non conducono ad altro che, a nuovi problemi.

Ricapitoliamo ora i quesiti, per vedere quale aiuto per iscioglierli si possa ricavare dalla legge citata di Liutprando, e dov’essa non ne somministra, da altre induzioni; per veder finalmente se sia lecito venire a qualche conclusione un po’ più positiva sulla legge lasciata agli Italiani, e quindi sui motivi di questa concessione.

1.° Quanta parte di legge romana fu lasciata agli indigeni?

2.° Questa legge era per essi la sola obbligatoria?

  1. De scribis hoc prospeximus, ut qui chartam scripserit, sive ad legem Langobardorum, quae apertissima et pene omnibus nota est, sive ad legem Romanorum, non aliter faciant, nisi quomodo in illis legibus continetur. Non contra Langobardorum legem, aut Romanorum non scribant. Quia si nesciverint, interrogent alios; et si non potuerint ipsas leges plene scire, non scribant ipsas chartas. Et qui aliter praesumserit facere, componat guidrigilt suum, execepto si aliquid inter conlibertos convenerit. Et si unusquisque de lege sua descendere voluerit, et pactiones: atque conventiones inter se fecerint, et ambae partes consenserint, istud non reputetur contra legem, quod ambae partes voluntarie faciunt. Liutprandi Leges, lib. 6, 37.