Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/143

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appendice al capitolo terzo 137

omnibus. Ma se si esamina il documento, non si trova altro di singolare, che l’interpretazione.

La legge X di Rachi (secondo il codice Cavense) è composta di due parti che riguardano oggetti affatto diversi: ne diamo qui, tradotta come si può, quella che ha che fare con la questione presente.

«Qualunque Arimanno o uomo libero porterà una causa davanti a noi prima d’essersi rivolto al suo giudice, e d’aver ricevuta da lui la sua sentenza, paghi per composizione al detto suo giudice cinquanta soldi. Per ciò ordiniamo a tutti, che ognuno il quale abbia una causa da far decidere, vada alla sua città e dal suo giudice, e gli esponga la sua causa. Che se non gli è fatta giustizia, allora venga alla nostra presenza: chi si farà lecito di venirci prima d’andare dal suo giudice, paghi cinquanta soldi, e se non è in caso ....

Perciò vogliamo che ognuno vada dal suo giudice, e riceva la sentenza che gli sarà data 1

Può egli essere più chiaro che quel suo tante volte aggiunto a giudice, non c’è per altro, se non perchè la legge parlava ad uomini che non erano tutti soggetti a un giudice medesimo? Supponiamo che in tutto il regno non ci fossero stati altro che Longobardi: quel suo ci andava ugualmente. Doveva la legge dire semplicemente: ad judicem, quando le giudicerìe (iudiciariae) erano molte? — Ma, dice la Nota, la sede del tribunale era già indicata dalla parola: ad civitatem suam; dunque l’altro suum aggiunto a judicem deve significare qualcosa di diverso. — S’osservi prima di tutto, che, per poter fare una tale illazione, la Nota ha dovuto staccar dalla legge e riferire quel solo brano nel quale si trova quella locuzione, come la chiama. Ora, il lettore ha potuto vedere che nella legge il suo, aggiunto a giudice, c’è tre volte prima di quel brano, e due volte dopo. E in questi luoghi, cosa indica? S’insiste forse, e si domanda perchè mai la legge avrebbe nominata anche una sola volta la città? quando non fosse stato necessario? Se si rispondesse che l’ha fatto per un di più, potrebbe bastare. Infatti, non sarebb’egli strano il voler applicare la regola del necessario a un documento nel quale trionfa tanto il superfluo? C’è egli da maravigliarsi che quello scrittore, oltre la persona, abbia indicato anche il luogo? che abbia detto una volta: vada alla sua città, sottintendendo: non venga a palazzo 2, come aveva detto tante volte: vada dal suo giudice, per opposizione a da noi? Anzi non sono pleonasmi comunissimi? Se, per esempio, si trovasse che un papa, a chi fosse ricorso inopportunamente a lui, avesse detto: andate alla vostra diocesi, esponete la cosa al vostro vescovo; ci sarebbe ragion di credere che in ogni diocesi ci fossero diversi vescovi per diverse classi di persone?

Ma per dimostrare quanto sia lontana dal vero quell’interpretazione, non c’è bisogno di ricorrere ad argomenti generali, e ad esempi ideali. Abbiamo due leggi longobardiche nelle quali si trovano accozzati insieme

  1. Si enim vero Arimannus aud liber homo ad judicem suum prius non ambulaverit, et judicium suum de judice suo non susceperit, et post (ut?) justitiam suam recepat, sic venerit ad nos proclamare, componat ad ipsum judicem suum solidos quinquaginta. Propterea praecepimus omnibus ut debeant ire unusquisque causam habentes ad civitatem suam simulque ad judicem suum, et nunciare causam suam ad ipsos judices suos. Et si justitiam non receperint, tunc veniant ad nostram praesentiam: nam si quis venire antea praesumpserit priusquam ad judicem suum vadat, qui habuerint unde, componant solidos quinquaginta, et qui non habuerint.... Ideo volumus ut vadat unusquisque ad judicent suum, et percipiat judicium suum qualiter fuerit. Nel volume già citato: Della condizione de’ Romani, ecc. Ediz. di Milano, pag. 485.
  2. Ad palatium, come nella legge VI di Rachi medesimo: legge, con la quale il documento in questione ha una relazione singolare, e della quale dovremo parlare tra poco.