Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/157

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appendice al capitolo terzo 151

rendano improbabile un fatto), e combatte nel di lui esercito 1. E ci sono poche leggi longobardiche citate più spesso di quella di Liutprando, che determina quanti uomini aventi un cavallo potrà il giudice, in caso di leva, lasciare a casa loro, quanti lo sculdascio; quanti uomini d’inferior condizione potranno l’uno e l’altro far lavorare come opere ne’ loro poderi, tre giorni della settimana, fino al ritorno della spedizione; quanti cavalli menarsi dietro, per i loro bagagli 2. Che Scabino fosse un grado della milizia, non se ne trova, credo, nè menzione o indizio in alcun documento, nè congettura in alcuno scrittore.

Con questo s’è dimostrato, fors’anche troppo, che la nuova proposizione: essere stati gli Scabini de’ quali parla Lotario, da eleggersi totius populi consensu, corrispondenti agli Sculdasci longobardi, non ha alcun fondamento. Ma prima di finire, dobbiamo fare anche qui un’osservazione già fatta più d’una volta, cioè che quella proposizione, oltre all’esser gratuita e erronea, e in contradizione con gli argomenti che la precedono, e de’ quali si vuole che sia la conclusione. Quando s’ammettesse e questa nova proposizione, e le conseguenze che la Nota vorrebbe cavarne, val a dire che gli Sculdasci Longobardi fossero eletti con un consenso formale di tutto il popolo; che in questo popolo fossero, in qualsisia maniera, compresi gl’Italiani; che, per un tal mezzo, ci fossero sculdasci italiani (che è tutto dire, e sono parole che stridono); tutto questo non s’accorderebbe, nè con l’interpretazione della legge di Rachi, nè con quello che la Nota chiama il fatto.

Infatti, secondo l’interpretazione, il re, con quelle parole: debeant ire unusquisque ad judicem suum, si sarebbe inteso di rimandare a de’ giudici rispettivamente longobardi o italiani quelli che volessero ricorrere indebitamente a lui: la qual cosa suppone che ciascheduna delle due nazioni avesse giudici propri per tutti i casi ne’ quali poteva aver luogo quel ricorso irregolare. Secondo la nova proposizione invece, gl’Italiani non avrebbero avuto giudici propri, se non d’un ordine, e come ora si direbbe, d’un’istanza inferiore, cioè giudici per alcuni casi solamente. Dimanierachè, in tutti gli altri (e, come abbiamo fatto osservare, dovevano essere almeno i più frequenti), la legge, stando all’interpretazione, avrebbe intimato all’Italiano d’andar da un giudice italiano che, stando alla nova proposizione, non c’era. L’interpretazione dava al vocabolo giudice un senso generico; la nova proposizione gli dà, riguardo agl’Italiani, un senso speciale, e, sia detto incidentemente, molto più strano. Infatti, anche ne’ pochi brani di leggi longobardiche che abbiamo avuta l’occasione di citare, si è visto lo sculdascio distinto dal giudice, opposto al giudice quanto mai si possa dire; s’è visto che dallo sculdascio c’era appello al giudice, che quello pagava multe a questo, che sotto un giudice c’erano più sculdasci, che il giudice dispensava dalle spedizioni militari tanti cavalieri, prendeva tanti cavalli, metteva tante opere ne’ suoi poderi; lo sculdascio, tanti e tante meno. Ed era certamente strano il volere che la denominazione di giudice avesse un senso generico, e venisse così

  1. V. l’intero capitolo 24 del libro VI, citato copra.
  2. De omnibus Judicibus, quomodo in exercitu ambulandi causa necessitas fuerit, non mittant alios homines, nisi tantummodo qui unum caballum habeant, hoc est homines quinque, et tollant ad sumas suas ipsos caballos sex. De minoribus hominibus, qui nec casas nec terras habeant, dimittant homines decem, et ipsi homines ad ipsum Judicem faciant per hebdomadam unam operas tres, dum ipse Judex de exercitu revertatur. Scultasius vero dimittat tres homines qui caballos habeant, ut tollant (et tollat?) ad sumas suas ipsos caballos tres; et de minoribus hominibus dimittantur quinque, qui faciant ei operas, dum ipse reversus fuerint, sicut ad Judicem diximus, per hebdomadam operas tres. Liutp. lib. VI; 1. 29: già citata in parte anche qui, alla pag. 19. (Nella parte finale delle Notizie storiche, ndr.)