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168 discorso storico

gnano, escludono ogni idea di servitù. La frase: ut tertiam partem suarum frugum persolverent quanto è propria a significare un’imposizione pagata da un possidente, altrettanto sarebbe strana per indicare il fitto d’un lavoratore e tanto più d’un lavoratore servo. «I frutti adunque,» come osservò giustamente e acutamente il signor professore Capei, «erano suoi (del romano), nè suoi avrebbono potuto dirsi se anco i fondi frugiferi (che l’accessorio seguitò mai sempre il principale) non fossero rimasti in dominio di lui 1.» Infatti, in qual maniera quel suarum frugum sarebbe potuto convenire ai Romani diventati lavoratori servili? Come ad antichi padroni? No, di certo; giacchè, secondo un’altra ugualmente giusta e acuta osservazione, «i nobili romani non avrebbero avuto a pagare il terzo di loro entrate, ma solo il terzo di quella parte, di necessità piccolissima, delle ampie loro antiche possessioni, della quale fossero coloni 2.» Come a novi coloni? Neppure; poichè il colono non dava del suo al padrone; era anzi questo, che lasciava a lui una parte de’ frutti, perchè avesse da vivere.

Che poi la voce tributarii significasse, non già esclusivamente, ma in molti casi, una condizione servile, bastano per dimostrarlo gli esempi addotti dal Ducange, il quale definisce quella voce così: Coloni liberi (val a dire che non erano nell’ultimo grado di servitù incondizionata ), obnoxiae licet conditionis, ut qui ad tributa et serviles operas tenerentur. E rimettendoci a questi esempi, e gli altri addotti dal signor Troya, ne prenderemo tra questi uno solo, che fa più particolarmente al caso, poichè è ricavato dalle leggi longobardiche. «Rotari,» dice l’illustre storico «usò in significato servile questa voce di tributario, nel favellar della casa ove abitavano i servi 3.» Infatti quella legge prescrive che il creditore il quale voglia far pegnorare una casa tributaria, deva star mallevadore, per tanti giorni, del servo, della serva e del bestiame che ci si trovino: passato il qual tempo senza che il debitore abbia pagato, ogni morte o guasto o fuga, di servi o di bestie, che possa avvenire, sia a danno di questo 4. Qui pare evidente che l’aggiunto tributaria sia relativo alla qualità degli abitanti.

Con questo crediamo abbastanza dimostrato che, se le forme grammaticali richiedono che nel luogo in questione s’intendano accennati due fatti diversi, la forza de’ vocaboli lo permette per lo meno.

Ma più ancora ci pare che lo richieda la verosimiglianza intrinseca della cosa. Le circostanze espressamente riferite dallo storico sono di troppo diversa, anzi opposta natura, perchè si possa riguardarle come appartenenti a un solo e medesimo fatto. E o si voglia che questo fatto

  1. Sulla dominazione de’ Longobardi in Italia, Discorso al Marchese, Gino Capponi; I, 11.
  2. Vicende della proprietà in Italia, dei signori di Vesme e Fossati; lib. III, cap. 7.
  3. Op. cit.§ XXVIII.
  4. Nulli liceat pro quolibet debito casam tributariam ordinatam loco pignoris tollere, nisi servum aut ancillam vaccas aut pecora, ita ipsum aut pignus (al: ita ut ipsam pignus), quod tulit per suam custodiam, salvum faciat usque ad praefinitum tempus, sicut subter adnexum est, idest intra eas personas quae intra centum milliaria habitant, intra dies XX. Et si intra dies istos XX debitor pignus suum, justitiam faciens, et debitum reddens, non liberaverit, et post transactos dies XX, contigerit ex ipso pignore mancipium, aut quodlibet peculium mori, aut homicidium, aut damnum fieri, aut alibi transmigrare, tunc debitor in suum damnum reputet, qui sua pignora liberare neglexerit. Roth. I. 257. — Peculium, nel latino del medio evo, e segnatamente in quello delle leggi longobardiche, significava anche bestiame. Non è così chiaro il senso dell’ordinatam aggiunto a casam. Forse fornita d’attrezzi e d’abitatori, in ordine, come si disse poi?