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180 discorso storico

molti abbandonarono per disperazione i luoghi dove non avevano più nè ricovero, nè vitto, e non c’era chi gliene potesse dare; e le parti d’Italia meno maltrattate, e particolarmente quelle ch’erano state occupate da Alboino, dovevano formicolare di questi rimasugli d’un popolo oppresso, ridotto all’estremo della miseria, messo in fondo. Chè, interpretando così l’aggravati di Paolo, noi non abbiamo, è vero, alcun esempio diretto sul quale fondarci; ma un tal senso, come ha una probabilità bastante dall’analogia, così ne riceve una fortissima dal complesso del racconto. È evidente che lo storico vuol rappresentare la restaurazione del poter regio come un momento di riordinazione civile, e anche d’uno straordinario miglioramento morale. Ma, succinto, o piuttosto digiuno al suo solito, ne tocca due fatti soli. Que’ duchi, così avidi di possesso, cedono al re la metà delle grandiose sostanze acquistate col mezzo della strage e della rapina; e nondimeno provvedono a quel miserabile sciame di sbandati, distribuondoli tra i Longobardi, cioè assegnandoli ripartitamente e proporzionalmente ad essi, da mantenere e da ricoverare sulle terre e nelle case delle quali erano diventati possessori di fatto. La ragione del nondimeno comparisce qui chiarissima: i duchi medesimi, ch’erano, e prima, e sicuramente anche dopo la cessione, i principali tra i novi possessori, presero la loro parte di quegli ospiti: malgrado lo sproprio, s’addossarono un peso. E la relazione non ci pare meno chiara col passo che vien dopo: Erat sane hoc mirabile in regno Langobardorum, ecc.. Que’ due fatti, uno di liberalità, l’altro di commiserazione, se non di giustizia, fatti da parere strani subito dopo un’epoca di rapine e di sangue, l’autore li lega, e in certa maniera li conferma col fatto generale (quanto autentico non importa), d’un cambiamento maraviglioso avvenuto ne’ costumi e nelle disposizioni di tutta la nazione. «Non una violenza, non un’insidia, non un sopruso; nessuno oppresso, nessuno spogliato:» cioè nessuna delle cose che negli anni atroci dell’interregno erano state abituali. E nello stesso tempo, il ricovero dato a que’ raminghi aiuta a render ragione dell’esser diventato così quieto il paese, così sicure le strade (non erant furta, non latrocinia: unusquisque quo libebat securus sine timore pergebat); perchè in una tale moltitudine, insieme co’ pazienti e con gli avviliti, ci dovevano essere anche i disperati.

Finalmente, poichè s’è dovuto parlare del codice ambrosiano, osserveremo che questa interpretazione è la sola, delle proposte finora, che s’accomodi con la lezione genuina di esso. Non che noi crediamo che l’autorità di quel codice, solo contro tanti, basti per far credere che quella lezione sia la vera: ci pare anzi molto più probabile che la voce hospicia, la sola per cui essa differisce dalla lezione comune, ci sia entrata per errore d’un amanuense che o abbia letto male, o, come congettura il signor Professore Capei 1, abbia sostituita una glossa al testo. Citiamo questa variante in quanto ci pare che l’autore di essa, storpiando materialmente il testo, l’intese formalmente come noi. Hospitia, come s’è già osservato, significava anche quartieri o edifizi destinati ad alloggiare, di passaggio o stabilmente, viandanti o poveri. E quindi la frase: populi aggravati per Langobardos hospitia partiuntur, viene a dire, in una maniera meno naturale certamente, come deve accadere a chi altera l’espressione altrui, ma pure viene a dire la cosa medesima,

  1. Discorso citato,§ 16.