Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/223

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atto primo. 217

Pregan dal ciel su l’armi loro istesse
Le sconfitte e le fughe. Io li conosco,
E conoscer li deggio: a molti in mente
Dura il pensier del glorioso, antico
Viver civile; e subito uno sguardo
Rivolgon di desio là dove appena
D’un qualunque avvenir si mostri un raggio,
Frementi del presente e vergognosi.
Ei conosce il periglio; indi l’udite
Mansueto parlarvi; indi vi chiede
Tempo soltanto da sbranar la preda
Che già tiensi tra l’ugne, e divorarla.
Fingiam che glielo diate: ecco mutata
La faccia delle cose; egli soggioga
Senza dubbio Firenze; ecco satolle
Le costui schiere col tesor de’ vinti,
E più folte e anelanti a nove imprese.
Qual prence allor dell’alleanza sua
Far rifiuto oseria? Beato il primo
Ch’ei chiamerebbe amico! Egli sicuro
Consulterebbe e come e quando a voi
Mover la guerra, a voi rimasti soli.
L’ira, che addoppia l’ardimento al prode
Che si sente percosso, ei non la trova
Che ne’ prosperi casi: impaziente
D’ogni dimora ove il guadagno è certo,
Ma ne’ perigli irresoluto: a’ suoi
Soldati ascoso, del pugnar non vuole
Fuor che le prede. Ei nella rocca intanto,
O nelle ville rintanato attende
A novellar di cacce e di banchetti,
A interrogar tremando un indovino.
Ora è il tempo di vincerlo: cogliete
Questo momento: ardir prudenza or fia.
                 

il doge.


Conte, su questo fedel vostro avviso
Tosto il Senato prenderà partito;
Ma il segua, o no, v’è grato; e vede in esso,
Non men che il senno, il vostro amor per noi.

(parte il conte).