Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/337

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parte prima 331

E lo credo; ma qui si tratta di vedere, non solo cosa esprimano direttamente le vostre parole, ma anche cosa importino logicamente. Siano molti o pochi i casi in cui vorreste che l’autore vi facesse distinguere ciò che c’è di reale nel suo racconto: foss’anche un caso solo; perchè lo vorreste? per un vostro capriccio? No, di certo, ma per una bonissima ragione, e l’avete detta voi: perchè la realtà, quando non è rappresentata in maniera che si faccia riconoscere per tale, nè istruisce, nè appaga. Ed è forse una ragione particolare a que’ casi o a quel caso? Tutt’altro: è, di sua natura, una ragione generale, comune a tutti i casi simili. Se dunque vengono altri a lamentarsi di provare lo stesso dispiacevole effetto in altre parti del componimento, non vi par egli che le loro lagnanze meritino soddisfazione al pari delle vostre? Dovete dir di sì, poichè sono fondate su quella ragione medesima: l’esigenza della realtà. Vedete dunque che, imponendo al romanzo storico di farla distinguere o qua o là, gli’imponete in sostanza di farla distinguer per tutto: cosa impossibile, come ho dimostrato, o piuttosto v’ho fatto osservare.

Ecco ora cosa si può dire agli altri:

Il distinguere in un romanzo storico la realtà dall’invenzione, distrugge, secondo voi, l’omogeneità dell’impressione, l’unità dell’assentimento. Ma, di grazia, come si può distruggere ciò che non è? Non vedete che questa distinzione si trova negli elementi necessari e, dirò così, nella materia prima d’un tal componimento? Quando, per esempio, l’Omero del romanzo storico fa entrare nel Wawerley il principe Odoardo, e il suo sbarco in Scozia; in un altro componimento, Maria Stuarda, e la sua fuga dal castello di Lockleven; in un altro, Luigi XI re di Francia, e il suo soggiorno a Plessis-les-Tours; in un altro, Riccardo Cor di leone, e la sua spedizione in Terra Santa, e via discorrendo: non fa nulla dal canto suo per avvertirvi che si tratta di persone reali e di fatti reali. Sono loro che si presentano con questo carattere; sono loro che richiedono assolutamente, e ottengono inevitabilmente quell’assentimento sui generis, esclusivo, incomunicabile, che si dà alle cose apprese come cose di fatto; assentimento che chiamerò storico, per opporlo all’altro, ugualmente sui generis, esclusivo, incomunicabile, che si dà alle cose apprese come meramente verosimili, e che chiamerò assentimento poetico. Anzi, il male era già fatto prima che que’ personaggi comparissero in scena. Prendendo in mano un romanzo storico, il lettore sa benissimo che ci troverà facta atque infecta 1 e cose avvenute e cose inventate, cioè due oggetti diversi, dei due diversi, anzi opposti assentimenti. E voi accusate l’autore di far nascere una tale discordia, e gli prescrivete di mantenere nel corso dell’opera un’unità ch’era già stata portata via dal titolo!

Forse, mi direte anche voi, ch’io esagero le vostre pretensioni; che l’esserci in una cosa degl’inconvenienti inevitabili non è una ragione di aggiungercene degli altri; che, se quell’omogeneità d’assentimento desiderata dall’arte non si può ottenere così interamente, è però un danno gratuito il diminuirla; che, con quell’avvertire espressamente, o col far intendere che la tale o tal altra cosa è positivamente vera, l’autore fa nascere degli assentimenti storici, opposti all’intento dell’arte, dove forse non nascerebbero.

Può darsi; ma cosa potrebbe nascere in vece? Due cose sole, cioè o l’una o l’altra di due cose, opposte nè più nè meno all’intento dell’arte: l’inganno, o il dubbio.

  1. Sacri igitur vates, facta atque infecta canentes ... Vida. Poet., Lib. III, v. 112