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atto secondo. 35

                       martino.
                      Uom peccator son io;
Ma la gioia è dal cielo, e non fia vana.

                        carlo.
Animoso Latin, ciò che veduto,
Ciò che hai sofferto, il tuo cammino e i rischi,
Tutto mi narra.

                       martino.
                      Di Leone al cenno,
Verso il tuo campo io mi drizzai; la bella
Contrada attraversai, che nido è fatta
Del Longobardo e da lui piglia il nome.
Scorsi ville e città, sol di latini
Abitatori popolate: alcuno
Dell’empia razza a te nemica e a noi
Non vi riman, che le superbe spose
De’ tiranni e le madri, ed i fanciulli
Che s’addestrano all’armi, e i vecchi stanchi,
Lasciati a guardia de’ cultor soggetti,
Come radi pastor di folto armento.
Giunsi presso alle Chiuse: ivi addensati
Sono i cavalli e l’armi; ivi raccolta
Tutta una gente sta, perché in un colpo
Strugger la possa il braccio tuo.

                        carlo.
                                          Toccasti,
Il campo lor? qual è? che fan?

                       martino.
                                           Securi
Da quella parte che all’Italia è volta,
Fossa non hanno, né ripar, né schiere
In ordinanza: a fascio stanno; e solo
Si guardan quinci, donde solo han tema
Che tu attinger li possa. A te, per mezzo
Il campo ostil, quindi venir non m’era
Possibil cosa; e nol tentai; chè cinto
Al par di rocca è questo lato; e mille
Volte nemico tra costor chiarito
M’avria la breve chioma, il mento ignudo,
L’abito, il volto ed il sermon latino.
Straniero ed inimico, inutil morte
Trovato avrei; reddir senza vederti
M’era più amaro che il morir. Pensai
Che dall’aspetto salvator di Carlo
Un breve tratto mi partia: risolsi
La via cercarne, e la rinvenni.

                        carlo.
                                           E come
Nota a te fu? come al nemico ascosa?