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442 osservazioni sulla morale cattolica

ficoltà d’eseguire che nasce dagli ostacoli esterni, ma quella di determinarsi): la giustizia, l’utilità saranno condizioni senza le quali essa non sarebbe bella, ma non sono quelle che la rendono tale. Se, mentre si sta ammirando la risoluzione presa da un uomo in una data circostanza, si viene a sapere che gli tornava conto di prenderla, l’ammirazione cessa; quella risoluzione si chiamerà bona, utile, giusta, saggia, ma non più ammirabile nè bella; si dirà che quell’uomo è stato fortunato, onesto, avveduto: nessuno lo chiamerà grande. E perciò l’invidia, la quale, quanto è sciocca riguardo all’intento, altrettanto è acuta nella scelta de’ mezzi, mette tanto studio a trovar qualche motivo d’interesse in ogni bella azione, che non possa negare; cioè un motivo per cui sia stato facile il risolversi a farla: le cose facili non sono ammirate. Ma perchè mai le più belle azioni compariscono difficili al più degli uomini, se non perchè essi non trovano nella ragione de’ motivi sufficienti per intraprenderle risolutamente, anzi trovano nell’amore di sè de’ motivi contrari?

Ma se, per evitare l’inconveniente e la vergogna di dar precetti e consigli, senza poter proporre de’ motivi proporzionati, un sistema di morale vuol limitarsi a prescrivere e a raccomandare l’azioni che s’accordino con l’utile temporale di chi le fa, non solo non soddisfa, ma offende un’altra tendenza di tutti gli uomini, i quali non vogliono rinunziare alla stima di ciò che è bello senza essere utile temporalmente; anzi è bello appunto per questo. Io so che, nel sistema della morale fondata sull’interesse, si spiegano tutte l’azioni più magnanime e più indipendenti da ciò che comunemente si chiama utile: si spiegano col dire che gli uomini di gran core ci trovano la loro soddisfazione. Ma, perchè una teoria morale sia completa, non basta che spieghi come alcuni possano aver fatto ciò che essa medesima è costretta a lodare bisogna che dia ragioni e motivi generali per farlo. Altrimenti la parte più perfetta della morale diventa un’eccezione alla regola, una pratica che non ha la sua ragione nella teoria, ma ha solamente una cagione di fatto in certe disposizioni individuali; è quasi una stravaganza di gusto1. C’è negli uomini una potenza che gli sforza a disapprovare tutto ciò che non par loro fondato sulla verità; e siccome non possono disapprovare le virtù disinteressate, così vogliono un sistema nel quale esse entrino come ragionevoli. Io credo che, quanto più si osservi, sempre più si vedrà che le morali umane si agitano tra questi due termini, cercando invano di ravvicinarli. Ognuno di que’ sistemi ha una parte di fondamento nell’una o nell’altra tendenza della natura umana, cioè o nella stima della virtù, o nel desiderio della felicità (tendenze indistruttibili come il vero, che è l’oggetto dell’una, e il bene, che è il termine dell’altra); ognuno tiene da quella su cui si fonda, un’imperfetta ragione d’essere, e una forza per combattere; come dal trascurar l’altra gli viene l’impotenza di vincere. La difficoltà consiste nel soddisfarle ugualmente, nel trovare un punto dove la bellezza e la ragionevolezza dell’azioni, de’ voleri, dell’inclinazioni, si riuniscano necessariamente, in ogni caso e con piena evidenza.

  1. Lo scrittore anonimo della vita dell’Helvetius, dopo aver parlato d’alcuni suoi tratti di beneficenza, riferisce che disse al suo cameriere, il quale n’era testimonio: Vi proibisco di raccontare ciò che avete veduto, anche dopo la mia morte. Questo scrittore non rammenterebbe una tale circostanza, se non credesse che la volontà di nascondere i benefizi che si fanno è una disposizione virtuosa. Lo è senza dubbio; ma nel sistema di quel filosofo è impossibile classificarla tra le virtù.