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capitolo settimo 467

grado di perfezione? Sono esse che hanno scatenato il mondo contro quelli di cui il mondo non era degno1?

Sul principio del secondo secolo, un vecchio fu condotto in Antiochia davanti l’imperatore. Questo, dopo avergli fatte alcune interrogazioni, l’interpellò finalmente se persisteva a dichiarare di portar Gesù Cristo in core. Al che avendo il vecchio risposto di sì, l’imperatore comandò che fosse legato e condotto a Roma, per essere dato vivo alle fiere. Il vecchio fu caricato di catene; e, dopo un lungo tragitto, arrivato in Roma, fu condotto all’anfiteatro, dove fu sbranato e divorato, per divertimento del popolo romano2.

Il vecchio era sant’Ignazio, vescovo d’Antiochia. Discepolo degli Apostoli, la sua vita era stata degna d’una tale scola. Il coraggio che mostrò al sentire la sua sentenza, l’accompagnò per tutta la strada del supplizio; e fu un coraggio sempre tranquillo, e come uno di que’ sentimenti ultimi che vengono dalla più ponderata e ferma deliberazione, in cui ogni ostacolo è stato preveduto e pesato. Al sentire il ruggito delle fiere, si rallegrò: il supplizio, quella morte senza combattimento e senza incertezza, la presenza della quale è una rivelazione di terrore per gli animi i più preparati, che dico? un tal supplizio non aveva nulla d’inaspettato per lui: tanto lo Spirito Santo aveva rinforzato quel core, tanto egli amava! L’imperatore era Traiano.

Ah! quando alla memoria d’un cristiano si può rimproverare che, per uno zelo ingiusto e erroneo, abbia usurpato il diritto sulla vita altrui, sia pure stato, in tutto il resto, pio, irreprensibile, operoso nel bene; a ogni sua virtù si contrappone il sangue ingiustamente sparso: una vita intera di meriti non basta a coprire una violenza. E perchè nel giudizio tanto favorevole di Traiano non si conta il sangue d’Ignazio e de’ tanti altri innocenti, che pesa sopra di lui? perchè si propone come un esemplare? perchè si mantiene a’ suoi tempi quella lode che dava loro Tacito, che in essi fosse lecito sentire ciò che si voleva, e dire ciò che si sentiva3? Perchè noi riceviamo per lo più l’opinione fatta dagli altri; e i gentili, che stabilirono quella di Traiano, non credevano che spargere il sangue cristiano togliesse nulla all’umanità e alla giustizia d’un principe. È la religione che ci ha resi difficili a concedere il titolo d’umano e di giusto; è essa che ci ha rivelato che nel dolore d’un’anima immortale c’è qualche cosa d’ineffabile; è essa che ci ha istruiti a riconoscere e a rispettare in ogni uomo l’immagine di Dio, e il prezzo della Redenzione. Quando si ricordano gli uomini condannati alle fiamme col pretesto della religione, se alcuno, per attenuare l’atrocità di que’ giudizi, allega che i giudici erano fanatici, il mondo risponde che non si deve esserlo; se alcuno allega ch’erano ingannati, il mondo risponde che non bisogna ingannarsi quando si pretende disporre della vita d’un uomo; se alcuno allega che credevano di rendere omaggio alla religione, il mondo risponde che una tale opinione è una bestemmia. Ah! chi ha insegnato al mondo, che Dio non s’onora che con la mansuetudine e con l’amore, col dar la vita per gli altri e non col levargliela, che la volontà libera dell’uomo è la sola di cui Dio si degna ricevere gli omaggi?

Per spiegare le persecuzioni contro i cristiani, si sarebbe quasi indotti a supporre che il rispetto alla vita dell’uomo fosse ignoto ai gentili, che sia un altro mistero rivelato dal Vangelo. In quelle si vedono crudeltà

  1. Quibus dignus non erat mundus. Ad Hebr. XI, 38.
  2. Tillemont, Saint Ignace.
  3. Rara temporum felicitate, ubi sentire quae velis, et quae sentias licere licet. Histor. lib. I.