Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/504

Da Wikisource.
498 osservazioni sulla morale cattolica

infinita; dal pensare che Quei che leva e quando e cui gli piace1 non possa concedere la somma indulgenza al sommo desiderio d’ottenerla per mezzo della Chiesa, quando sia chiusa la strada di chiederla per questo mezzo.

4.° Se le concessioni eccessive d’indulgenze non vanno contro i princìpi della moralità, qual altro effetto producono?

Un effetto dannoso certamente, come tutti gli eccessi; e non occorre affaticarsi a cercarlo, poichè ce lo indica il concilio di Trento. L’effetto è di snervare la disciplina. «Il Sacrosanto Sinodo ... desidera che, nel concedere l’indulgenze, s’usi moderazione, la consuetudine antica e approvata dalla Chiesa, acciocchè con la troppa facilità non si snervi la disciplina ecclesiastica2

Infatti, «essendo le pene soddisfattorie, come un freno al peccar di novo, e avendo l’efficacia di rendere i penitenti più cauti e vigilanti nell’avvenire,... e di distruggere gli abiti viziosi con l’opposte azioni virtuose,» come insegna il medesimo concilio3; l’eccessiva diminuzione di queste pene, vien quasi a far loro perdere questo vantaggio; e la stessa ragione di previdente misericordia per cui sono imposte, non solo come espiazione, ma anche come rimedio e aiuto, consiglia la moderazione nel concederne la remissione.

Ma l’eccesso si trova egli negli esempi citati e accennati dall’autore? Non tocca a me a deciderlo, nè importa qui il deciderlo, essendosi dimostrato come l’indulgenze s’accordino co’ princìpi della moralità: che era appunto la questione.

Non sarà in vece fuor di proposito l’osservare un altro esempio d’accuse che si contradicono. Quella che s’è esaminata, cadeva sulla leggerezza delle penitenze imposte per soddisfare alla giustizia divina: accusa nella quale è supposto e l’obbligo che ne rimane al peccatore, anche riconciliato, e l’attitudine a ciò dell’opere penitenziali. Obbligo e attitudine, che furono da’ novatori citati sopra, e da Calvino principalmente, dichiarati una vana immaginazione, anzi «un’esecrabile bestemmia4, un rapire a Cristo l’onore che Gli appartiene, d’esser Lui solo oblazione, espiazione, soddisfazione per i peccati5.» Rapir l’onore a Cristo, il dire che opere per sè morte, e patimenti sterili per l’eterna salute, possano, dalla sua gloriosa vittoria sopra il peccato, acquistar vita e virtù! Come se non fosse questo medesimo un confessar la sua infinita potenza, non meno che l’infinita sua bontà; o come se la Chiesa attribuisse a quell’opere e a que’ patimenti altro valore che quello che hanno da Lui, «nel quale viviamo, nel quale meritiamo, nel quale soddisfacciamo6!» Come se non fosse un effetto, dirò così, naturale dell’accordo operato dalla Redenzione, tra la giustizia e la misericordia, il commettere la vendetta dell’of-

  1. Dante, Purgatorio, II, 95.
  2. Sacrosancta Sinodus.... in his (indulgentiis) tamen concedendis moderationem, juxta veterem et probatam in Ecclesia consuetudinem, adhiberi cupit; ne nimia facilitate ecclesiastica disciplina enervetur. Sess. XXV. Decr. de Indulg.
  3. Procul dubio enim magnopere a peccato revocant, et quasi, freno quodam coercent hæ satisfactoriæ pœnæ, cautioresque et vigilantiores in futurum pænitentes efficiunt... et vitiosos habitus male vivendo comparatos contrariis virtutum actionibus tollunt: Sess. XIV, cap. VIII. De satisfactionis necessitate ac fructu.
  4. Quod ergo suis satisfactionibus promereri se imaginantur reconciliationem cum Deo (questo s’è già detto esser falso), pœnasque redimere ipsius iudicio debitas execrabilem esse blasphemiam, fortiter, sicuti est, asseveramus. Calv., De necessitate reformandæ Eccles.
  5. Quando ipse solus est Agnus Dei, solus quoque oblatio est pro peccatis, solus expiatio, solus satisfactio ... Honor ille quem sibi rapiunt qui Deum placare tentant suis compensationibus. Id. Instit. III, IV, 26.
  6. Ita non habet homo unde glorietur, sed omnis gloriatio nostra in Christo est; in quo vivimus, in quo meremur, in quo satisfacimus. Conc. Trid. Sess. XIV, cap. 8.