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524 osservazioni sulla morale cattolica


CAPITOLO DECIMOSETTIMO


SULLA MODESTIA E SULLA UMILTÀ.


La modestie est la plus aimable des qualités de l’homme supérieur: elle n’exclut point un juste orgueil, qui lui sert d’appui contre ses propres foiblesses, et de consolation dans l’adversité; le casuiste y a substitué l’humilité; qui s’allie avec le mépris le plus insultant pour les autres. Pag. 420, 421.

Io non difenderò qui i casisti dall’accusa d’aver sostituita alla modestia, e, per dir così, inventata l’umiltà. Essa è tanto espressamente e ripetutamente comandata nelle Scritture, che una simile proposizione non par che possa esser presa a rigor di termini.

Esporrò invece qualche osservazione sulla natura di queste due virtù, affine di dimostrare che la modestia senza l’umiltà o non esiste o non è virtù; e che chi loda la modestia, o pronunzia una parola senza senso, o rende omaggio alla verità della dottrina cattolica; perchè gli atti e i sentimenti che s’intendono sotto il nome di modestia non hanno la loro ragione che nell’umiltà, quale è proposta da questa dottrina.

Qui è necessario risalire a un principio generale della morale religiosa; in essa le virtù hanno per fondamento delle verità assolute e necessarie. Non credo che ci sia bisogno di giustificare questo principio. Si può, eccome! non farsene carico ne’ giudizi pratici, e anche nel fabbricare de’ sistemi di morale; ma chi vorrebbe asserire formalmente che il bono possa essere opposto al vero, o, ciò che non sarebbe meno strano, nè opposto, nè conforme? Applicando ora alla modestia questo principio, vedremo che questa, per esser virtù, deve avere due condizioni: esser l’espressione d’un sentimento non finto ma reale, e d’un sentimento fondato sopra una verità; dev’esser sincera e ragionata.

Cos’è la modestia? Non credo facile il dirlo. Per definire, s’intende per lo più specificare il senso unico e costante che gli uomini attribuiscono a una parola: ora, se gli uomini variano nell’applicazione d’una parola, come trasportare nella definizione un senso unico che non esiste ne’concetti? È celebre l’osservazione del Locke: che la più parte delle dispute filosofiche è venuta dalla diversa significazione attribuita alle stesse parole. «Sono pochi, dice, que’ nomi d’idee complesse che due uomini adoprino a significare precisamente la stessa collezione d’idee1.» Questa maggiore o minor varietà di significato, si trova più specialmente ne’vocaboli destinati a esprimere disposizioni morali.

È certo, nondimeno, che gli uomini s’intendono tra di loro, se non con precisione, almeno approssimativamente, quando adoprano o ascoltano alcuna di queste parole: non potrebbero anzi disputare, se non andassero d’accordo in qualche parte sul significato della parola che è l’oggetto, o piuttosto il mezzo necessario della loro disputa. Questo si spiega, se non m’inganno, osservando che ognuna di queste parole esprime un’idea riconosciuta per l’ordinario, quantunque più o meno distintamente, da ognuno; ma che, in troppi casi, ora l’uno, ora l’altro, ora molti, cessiamo

  1. Essai sur l’entendement humain. Livr. III, Chap. X. De l’abus des mots. § 22.