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544 | osservazioni sulla morale cattolica |
come s’è accennato dianzi, chi potrebbe dire che sia compita e chiusa la serie degli effetti d’un’azione antica quanto si voglia? E con un tal mezzo sarebbero arrivati a scoprire una legge relativa a tutte l’azioni passate, presenti e possibili? Che! non avrebbero nemmeno potuto pensare a cercarla; perchè il concludere dal particolare al generale, che è il paralogismo fondamentale del sistema, non sarebbe nemmeno un errore possibile, se l’uomo non avesse, per tutt’altro mezzo, l’idea del generale, che di là, non potrebbe avere. Quella che pretendono d’aver ricavata dall’esperienza, è una verità che hanno trovata stabilita, e ab immemorabili, nel senso comune.
Il senso comune tiene infatti, che l’utilità non possa, in ultimo, trovarsi in opposizione con la giustizia. E lo tiene, non già per mezzo d’osservazioni che non potrebbero mai arrivare all’ultimo; ma per una deduzione immediata, ovvia e, direi quasi, inevitabile, dal concetto di giustizia. In questo concetto è compreso quello di retribuzione, cioè di ricompensa e di gastigo; e il concetto di giustizia si risolverebbe in una contradizione mostruosa, o, per dir meglio, non sarebbe pensabile, se la retribuzione dovesse compirsi alla rovescia, e dall’opera conforme alla giustizia venir definitivamente danno, che è quanto dire gastigo, al suo autore; e viceversa. Ma come poi, e con qual ragione, dal semplice concetto di questa retribuzione, il senso comune corre, con tanta fiducia, a concludere e a credere che deva realizzarsi del fatto? Ciò avviene perchè il concetto di giustizia si manifesta alla cognizione come necessario; e quindi non può entrare nel senso comune che cessi d’esser tale, riguardo alla realtà, alla quale si riferisce, e si riferisce con uguale necessità; giacchè si può ben pensare la giustizia, senza farne alcuna speciale applicazione, ma non si potrebbe pensarla come priva di ogni applicabilità. E non già che il comune degli uomini riconosca riflessamente, e pronunzi espressamente, che ciò che è necessario in un modo non può mai diventar contingente in nessun altro; ma, appreso una volta un concetto come necessario, continua naturalmente e senza studio, senza aver nemmeno bisogno del vocabolo, a riguardarlo come tale nell’applicazioni che gli avvenga di farne. Si domandi a un uomo privo di lettere, ma non di buon senso, per qual ragione non si potrebbe supporre una combinazione di cose, per la quale, in un dato caso; dall’operar rettamente potesse resultare un danno stabile e definitivo, e dall’operare iniquamente uno stabile e definitivo vantaggio. Risponderà probabilmente: non può essere, perchè allora non ci sarebbe la giustizia. E sarà una risposta tanto concludente, quanto sarà stata irragionevole la domanda, domanda che sottintende non saprei dir quale di due cose ugualmente assurde: o che il concetto di giustizia non importi necessità; o che nella realtà possa avverarsi il contrario di ciò che è necessario per essenza.
Questo non vuol dire certamente, che tutti gli uomini abbiano sempre presente una tal verità; che essa sia sempre stata e sia sempre la regola de’ loro giudizi; che sia stato un fenomeno straordinario il sentir un uomo chiamare ingiustissima e utilissima una cosa medesima. È, come tutte le verità morali, una verità esposta nella pratica alle passioni e all’incoerenza parziali e accidentali degli uomini. E non c’è quindi da maravigliarsi che i successi temporariamente prosperi di tante azioni ingiuste, e gli avversi di tante giuste, e anche eroiche, ci portino qualche volta a dubitare di questa verità, e fino a negarla iracondamente, dimenticando che, nell’idea di retribuzione, non c’è punto compreso che deva realizzarsi nel momento che può parere a noi. Ma è una di quelle verità che, esprimendo una relazione immediata e necessaria tra due oggetti de’ più facilmente presenti a qualunque intelligenza, non lasciano a verun filosofo il carico nè il