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562 osservazioni sulla morale cattolica

nazione, sia per una parte più vasta dell’umanità; ma credo che, senza incontrare contradizione, si possa affermare che non ce ne fu alcuna in cui i fatti d’un tal genere siano stati come in questa, preceduti, mossi, spinti, attraversati, modificati, seguiti da dibattimenti pubblici, o da libri e scritti d’ogni genere, ragionamenti, storie, relazioni storiche, memorie, come le chiamano, diatribe, apologie e va discorrendo. Mai la parte della società, che legge e che scrive, non ebbe, come in quest’epoca, il campo e la voglia di far conoscere la sua maniera, cioè le sue maniere di pensare su un tal proposito. Ognuno può quindi, in quella farraggine di documenti, o anche semplicemente nelle sue rimembranze, o nelle cose del momento, osservare se sia stato e sia, o raro o frequente il caso di sentire proposta l’utilità (presunta, non si dimentichi) come l’unica e independente ragione della bontà delle risoluzioni da prendersi; raro o frequente il caso, che all’obiezioni o ai lamenti fondati (bene o male, non importa ) sul principio della giustizia e del diritto, si sia creduto e si creda di rispondere categoricamente e trionfalmente col dire che il danno sarebbe di pochi, e l’utilità d’un numero molto maggiore.

Ma un altro argomento da non trascurarsi, e da potersi anch’esso accennar brevemente, ce lo somministrano que’ sistemi medesimi che ci potrebbero essere opposti da qualcheduno.

Cosa sono essi infatti, se non una nova fase del sistema utilitario, nove applicazioni di quel così detto principio? Parlano, è vero, di giustizia1; ma cosa intendono poi per giustizia? Null’altro che il godimento de’ beni temporali ugualmente diviso. Ora, anche i primi utilitari erano pronti a permetter che s’usasse questa parola, a usarla loro medesimi, purchè non gli si desse altro significato che quello d’utilità, o anche d’un non so che altro, se si voleva, ma d’un non so che, il quale non avesse alcuna ragione sua propria, e non la potesse ricavare se non dall’utilità o dal danno che possa esser cagionato dall’azioni umane. Senonchè, quelli tra di loro che trattarono materie, sia di legislazione, sia d’economia politica, sia d’altri rami della scienza sociale, furono, come accade spesso ne’ primi passi, ben lontani dall’applicare alla totalità di ciasceduna di quelle materie il prinpipio sul quale pretendevano che dovessero esser fondate. Ammisero a priori, e senza badarci (perchè della parola avevano orrore), un certo stato della società, certi princìpi di diritto pubblico e privato, ricevuti ugualmente e dalla scienza e dalla credenza comune; e a tutto ciò subordinarono, nella maggior parte de’ casi, le loro ricerche intorno all’utilità. E questa loro infedeltà al sistema spiega, sia detto incidentemente, il come più d’uno di loro abbia potuto trovare, in questa e in quella materia, delle regole molto giudiziose, degli espedienti molto vantaggiosi, rimettere nel loro vero punto molte questioni, e combattere vittoriosamente degli errori accreditati, e dominanti nella pratica. Cercavano l’utilità; ma, in que’ casi, la cercavano nell’ordine di cose secondario, dov’è ragionevole il cercarla; applicavano l’esperienza, l’osservazione de’ fatti, ma ne’ limiti della sua vera autorità. Quando poi, da tali verità secondarie, volevano salire a quelle più alte e più complessive, che si chiamano princìpi, trovavano la strada chiusa da un muro che s’erano lasciati alzare dietro le spalle, cioè da una filosofia, al dominio della quale s’erano assoggettati, e che li faceva voltare per luoghi senza strada, e correre a dell’apparenze chiamate arbi-

  1. L’opera del Godwin, che fu, se non m’inganno, la prima di questo genere, tra le moderne, che abbia avuta celebrità, porta quella parola nel titolo medesimo: Inquiry concerning political justice, etc. Ricerche intorno alla giustizia politica, e alla sua influenza sulla felicità. Londra, 1793.