Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/623

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pre vivo, il quale come è stato il loro criterio, è anche il loro giudice naturale.

Concludo questa prima parte col dir loro: Risolvetevi dunque a darci il vostro vocabolario, poichè il mezzo ce l’avete, e non vi manca se non la santa e benedetta voglia.

Ma ora ho a fare i conti (e la cosa non potrà andar così liscia) con degli altri, i quali dicono che il fiorentino non è una materia sufficiente per il vocabolario che si desidera, e ne propongono un’altra. Dicono, a un dipresso, che il circoscriverla in un campo così ristretto, è impoverire la lingua, e privarla d’una quantità di locuzioni toscane quante le fiorentine, e belle, ingegnose, calzanti, energiche, quali insomma s’è ben contenti di trovarne in una lingua. E propongono per conseguenza, che dal toscano, nell’intero e complessivo significato della parola, s’abbia a prender la materia.

Dei titoli addotti qui in parte e di quanti altri se ne possano addurre di simil genere, non s’ha qui a discutere, come s’è detto; ma solamente a vedere se la materia somministri anche qui il mezzo di formar logicamente un vocabolario.

A questo intento, con l’autorità che mi sono conferita da me (il metodo non è di mia invenzione), scelgo tra i toscani non fiorentini un numero sufficiente d’uomini, e dotti e colti, come nell’altro caso. E qui non s’incontra la più piccola difficoltà. Ma all’atto pratico, quando li veggo seduti, alla volta loro, intorno al tavolone per compilare il vocabolario, qual differenza tra loro e i primi! Quelli avevano a prendere i loro materiali da una massa riunita, e a comporre un lavoro che aveva un tipo fuori di sè; questi devono andar razzolando materiali da masse diverse; e il complesso che uscirà dal loro lavoro, non avrà, come tale, altra esistenza che nel volume dove l’avranno riposto. Quelli erano fiorentini che conoscevano tutti il fiorentino; e di questi toscani, quanti sono quelli che conoscano il toscano, dico quel toscano al quale chiedono che si dia un posto nel vocabolario? Neppur uno.

Perchè, la questione non cade su quella, dove maggiore, dove minore, ma sempre gran parte di locuzioni che tutti gl’idiomi toscani hanno comune, e col fiorentino e tra di loro; quella, dico, per cui tutti gl’Italiani si sono accordati nel dare a quegl’idiomi il nome collettivo di lingua toscana, trascurando le differenze, come una parte di gran lunga minore.

Certo, prendendo il vocabolo in questo senso, sarebbe un’assurdità, più ancora che un’impertinenza, il dire che i Toscani non conoscano il toscano. Ma è per l’appunto sulle differenze che la questione è posta. E sono forse io, che, all’usanza de’ cavillatori e de’ sofisti, m’attacchi all’eccezione, per far perder di vista il principale?. No davvero. Sono loro che pongono la questione su queste differenze, e su queste sole; giacchè sulla parte dei loro idiomi identica col fiorentino, e che si trova già nel vocabolario che ho fatto far da questi, cosa avrebbero a reclamare? Di quell’altro toscano ho voluto dire, e credo d’aver potuto dire, che non lo conoscono. Qual ragione c’è infatti per supporre che gli abitanti di ciascheduna città di Toscana conoscano le locuzioni speciali dell’altre città? Ora, essendo di prima e assoluta necessità il conoscere la materia sulla quale s’ha a lavorare, dovranno i miei secondi convocati ricorrere al solo espediente possibile (chi n’avesse un altro, faccia il piacere d’indicarlo), quello di metter fuori ognuno le locuzioni speciali del proprio idioma, e averne così una raccolta in comune.

Quando poi l’hanno, come se ne servono, o, se mi si passa questa espressione famigliare, come la cucinano?