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650 appendice alla relazione

pagare una lingua, è, come tutti sanno, un vocabolario,» ci s’è intromessa la clausola: «particolarmente nelle nostre circostanze».

«Un’altra opinion che non è bona1»


tiene che, con l’accettare espressamente e praticamente l’idioma fiorentino e un vocabolario formato su di esso, l’Italia dovrebbe assoggettarsi a uno sconvolgimento, a una rivoluzione generale in fatto di lingua, e, per dir così, farsi mutola da sè, come la Lucinda di Molière, per riacquistar poi la favella con l’aiuto del finto medico2. Timori panici. Quella risoluzione non leverebbe all’Italia nulla (dico nulla) di ciò che possiede «in fatto di lingua; poichè (e qui sono costretto a ripetere un argomento di cui mi sono servito altrove, per combattere lo stesso errore sotto un’altra forma) col dire «ciò che l’Italia possiede» non si può intendere se non ciò che è comune a tutta l’Italia, e che lo è quindi anche a Firenze, e che, per conseguenza, si troverà tutto quanto nel Vocabolario fiorentino. I termini di versi per esprimere Idee comuni a tutta l’Italia, non sono una parte d’una sua lingua, più di quello che si possano chiamar parte della messe i semi di diverse erbe che si trovino mescolati col grano. E il vocabolario, lasciando indietro que’ termini per sostituircene de’ toscani, non solo non leverebbe nulla al patrimonio italiano in fatto di lingua, ma presterebbe un mezzo eccellente d’accrescerlo; e ne verrebbe non già uno sconvolgimento, ma l’ordine che resulta dall’operar concordemente.


VI.


Dobbiamo ora affrontare un’ultima questione: Chi l’avrà a fare questo vocabolario?

Alla risposta che verrebbe, per dir così, sulla punta della penna, chiude l’adito, e con una ragione troppo valevole, l’egregio Relatore della Commissione di Firenze, facendo, osservare che non sarebbe cosa conveniente il proporre all’illustre Accademia della Crusca, occupata a comporre il suo proprio Vocabolario, sia la cooperazione, sia la direzione d’un lavoro diverso. Non sarà però offendere alcun riguardo l’esprimere il dispiacere, che a questa impresa abbia a mancare l’opera d’uomini, e distinti per varia dottrina, e conoscitori quanto altri mai della materia, e menti esercitate a scegliere. Ma questo non può nemmeno essere un motivo di rinunziare a un’impresa importante del pari e riuscibile, quale è quella di procurare all’Italia uno de’ mezzi più pronti per arrivare a una comunione di linguaggio più intera che sia possibile. Quella illustre Accademia medesima ne ha dato, nella piccola parte pubblicata finora della quinta edizione del suo Vocabolario, un eccellente saggio con una nova aggiunta di vocaboli presi dal solo Uso toscano, senza esempi di scrittori, e accampagnati da precise e nette definizioni, e da frasi appropriate e spieganti, prese ugualmente da quell’Uso: saggio, il quale attesterebbe, se ce ne fosse bisogno, la possibilità di formare con quel mezzo un intero vocabolario. Ma poichè essa, rivolta com’è, a un altro scopo, il quale, per servirmi delle parole della Relazione di Firenze, «deve seguire norme differenti»; nè i dotti autori degli altri vocabolari citati nella Relazione medesima, e ai quali si deve ugualmente un certo numero di simili ag-

  1. Berni, Capitolo in lode del Debito.
  2. Molière, Le Medicin malgré lui.