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IN MORTE


DI

CARLO IMBONATI


VERSI


DI


ALESSANDRO MANZONI


A GIULIA BECCARIA


SUA MADRE









Se mai più che d’Euterpe il furor santo,
E d’Erato il sospiro, o dolce madre,
L’amaro ghigno di Talìa mi piacque,
Non è consiglio di maligno petto.
5Nè del mio secol sozzo io già vorrei
Rimescolar la fetida belletta,
Se un raggio in terra di virtù vedessi,
Cui sacrar la mia rima. A te sovente
Così diss’io: ma poi che sospirando,
10Come si fa di cosa amata e tolta,
Narrar t’udia di che virtù fu tempio
Il casto petto di colui che piangi;
Sarà, dicea, che di tal merto pera
Ogni memoria? E da cotanto esemplo
15Nullo conforto il giusto tragga, e nulla
Vergogna il tristo? Era la notte; e questo
Pensiero i sensi m’avea presi; quando,
Le ciglia aprendo, mi parea vederlo
Dentro limpida luce a me venire,
20A tacit’orma. Qual mentita in tela,