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XX.

Poichè alle liete vostre amate rive,
Dov’ or fortuna il mio venir disdice,
Pervenne l’onorata mia Fenice,
Che i miei dolci pensier sola prescrive.

Il cor, che sanza lei lieto non vive,
Segue su’ orme, come Amor mi dice,
Ed or li vive in pace, e l’infelice
Il dolor canta, e qui piangendo scrive.

E in fra le rugiadose erbette vostre
Le notti alberga, e ne’ chiariti giorni
Filomena cantando spesso il desta.

Com’esser può ch’a duo begli occhi adorni
Volgansi le mortal’ fortune nostre?
Che meco piange il cor, li vive in festa.

XXI.

Qual beato liquor, qual’ teste apriche,
Qual sacra terra, qual’ bennate piante,
Qual natura produsse, o stella errante
Le violette al mio cor tanto amiche?

Qual' man le colser si caste e pudiche?
Qual’ me le porser più felici o sante?
O Cieli, o Stelle, o Fati, o Glorie tante,
Chi sarà mai che vostre laude diche?

O sopr’ogni altro benedetto giorno
D’alta letizia, e di dolcezza pieno,
Da far di te memoria ancor mill’anni!

O soavi ore, o dolce tempo adorno!
Mille volte per voi laudati sieno
Quanti sospir mai sparsi, e quanti affanni.