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Don Giovanni Verità 15

mizio: una poltrona interrompeva a mezzo la fila delle sedie imbottite promettendo nel Comitato un personaggio, che nessuno ancora conosceva. La poltrona era di un rosso sbiadito e bisunto.

Chi mai l’avrebbe occupata?

Questa domanda, che mi rivolgevo mentalmente, la sentii ripetere più volte intorno a me.

Sulla tavola quattro candelabri d’argento a tre branche cariche di candele steariche, che sgocciolavano sotto il vento delle finestre imitando la fiamma delle torcie, non accrescevano per nulla la luce al palcoscenico. Pochi individui vi passavano ancora, forse incaricati della polizia del comizio, faccendieri vestiti anch’essi a festa e tutti superbi di occupare momentaneamente la scena destinata agli oratori e ai principi del Comitato.

Gli squilli della fanfara si avvicinavano sempre; la moltitudine si era calmata improvvisamente.

Dal mio palchetto di secondo ordine, già abituato alla poca luce della sala, non perdevo una fisonomia della moltitudine. Il grosso e bel lampadario solito ad illuminare il teatro era scomparso dietro il zodiaco della vôlta lasciando libera in giro la vista dei palchi. L’aria era calda, la gente già in sudore si asciugava le fronti.

— Viva Garibaldi!

— Viva l’Eroe! s’intese dal loggione.