Pagina:Oriani - Fino a Dogali.djvu/279

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altro non somiglia a nessuno, è ingenuo, fa tutto, imita e trasforma tutti, trova la varietà e la perfezione della bellezza in un secolo che non sente e non crede più nulla. De' suoi letterati nessuno vivrà tranne i due che lo sono meno, Macchiavelli e Guicciardini nella prosa: nella poesia i due meno applauditi, Ariosto e Tasso. Nessuno s'accorge ancora della rivoluzione già incominciata, Lutero fa sorridere, Venezia non teme dell'America, Roma di Copernico, i letterati abbominano la stampa, i soldati non credono alla polvere. Giulio II grida: fuori i barbari, Massimiliano vuole farsi papa, San Pietro è costrutto colle indulgenze, le statue antiche valgono più dei santi, il progresso della coscienza storica deriva dal guardare indietro al mondo romano, le Corti sono accademie di letterati e antri di assassini, il Vaticano è un teatro di buffoni, la filosofia una rugumazione di Aristotile divenuto indigeribile, la letteratura una imitazione che solo il lazzo della satira e la lezia della pedanteria animano. Il Principe di Macchiavelli, apoteosi del tiranno, codice dell'assassinio, finisce colla più generosa apostrofe alla libertà rimasta nella letteratura nazionale e con quattro versi della più eroica fra le canzoni del Petrarca.

Ma appena finita l'opera quel mirabile accordo della fusione dei contrarii nello spirito dell'artista