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Macchiavelli colla proposta delle Riforme, accettando poi da lui con scettica indifferenza la dedica delle Storie piene di odio contro il papato e di riserbo cortigiano per Casa Medici.

Nel Proemio alle Storie il Macchiavelli annuncia subito il pensiero che lo dirige e sul quale baserà il proprio edificio: se l'Aretino e il Poggio «duoi eccellentissimi storici» non avevano parlato che di guerre esterne, tacendo delle civili discordie, delle intrinseche inimicizie, e dei loro effetti, egli intendeva riparare all'errore «perchè nessuna lezione è utile a coloro che governano quanto quella che dimostra le cagioni degli odii e delle divisioni, massime in una città come Firenze, in cui le divisioni furono per nome infinite; portarono esigli, morti, devastazioni e pur non poterono impedire la prosperità della Repubblica; anzi pareva che l'aumentassero.»

Il principio e l'intenzione delle Storie è dunque quello medesimo dei Discorsi, del Principe e dell'Arte della Guerra: una lezione di politica data agli uomini di Stato, una verificazione delle teoriche che Macchiavelli ha stabilito nelle opere precedenti. Guai ai fatti che le contraddiranno! L'artista politico non è mutato ma sta per ingrandirsi: il campo che gli si apre davanti è così vasto che il suo ingegno vi si può dare carriera, l'innegabile originalità del suo