Pagina:Oriani - Fino a Dogali.djvu/330

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Nicia la mano gli si aggreva. Macchiavelli non è Boccaccio, il critico e il dialettico non sono in lui rattenuti dalla mano dell'artista. Nicia troppo imbecille arriva all'incoscienza e perde ogni interesse: egli, che non saprà mai la burla e non sarà mai al caso di scoprirla, le toglie ogni sapore; viene così a mancare il pericolo che non riesca, il pregio quando sia riuscita. La commedia non rivela nulla dell'intimità fra Nicia e la moglie, che possa fare vivo contrasto colle intenzioni di Callimaco: se Nicia è una caricatura, la quale non ha altra vita se non quella che la burla di cui è oggetto gli comunica, Lucrezia, che vi fa da scopo, non è che un'ombra. Nella sua posizione di donna giovane, bella, ricca, maritata a un vecchio scemo che non può nemmeno renderla madre e la deve tremendamente annoiare coll'assidua presenza e la senile gelosia, a rovescio di Callimaco che è tutto azione, ella non si muove, non parla, non sente, non pensa. È come un fantasma: arriva, si ferma, se ne va dalla scena senza lasciarvi orma e senza avervi fatto nulla. È più che la passività, siamo all'inanità.

Macchiavelli avrebbe potuto scegliere fra i molti caratteri femminili per Lucrezia, ma per torsi d'imbarazzo non gliene ha dato alcuno; persino la femmina è morta in lei è non risorgerà che in un gesto impaziente all'ultimo atto. La resistenza che