Pagina:Oriani - Fino a Dogali.djvu/364

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Così rientrerò nella vita.

Vi sono dei giorni che sento sollevarsi dal fondo dell'anima dei turbini di collera, che fischiano e ruggono come il Simoun può fare nel deserto. Tutta l'energia della mia volontà non può nulla su la mia gamba ferita: per muoverla debbo chiamare la povera Lucia, che me la solleva come un tronco. E tutto questo perchè? Se avessi ricevuto nel ginocchio una palla di falconetto come Giovanni dalle Bande Nere, alla buon'ora! ferita e morte avrebbero un significato; invece sono caduto come l'ultimo degli imbecilli, e quanto soffro e tutto il tempo necessario a guarire è dolore e tempo perduto.

L'inutilità della sofferenza, ecco il dolore del dolore!

Alzate dunque un patibolo davanti ad ogni morente, giacchè val meglio essere ucciso che morire; nel primo caso è una lotta, nel secondo un esaurimento; la tragedia è un diritto dell'uomo, la morte è una fine da animale.

Quante volte mi sono inteso chiedere che cosa sia la tragedia e quanti libri si sono scritti per spiegarla! Ma domanda e risposta egualmente malinconiche confondevano tragedia e morte. No, non è vero. La tragedia non è la morte, ma la morte umana, nella quale lo spirito discende colla coscienza della propria immortalità. Sapendo di morire