Pagina:Oriani - Fino a Dogali.djvu/367

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nterdetta?

Poi la tragedia divenne storia appena l'uomo invece di battersi colla natura si battè con sè medesimo. Alla terribile seduzione dell'ignoto, colla quale la natura attirava il selvaggio negl'antri delle selve e nelle voragini del mare, la storia sostituì l'attrazione delle idee, e gl'individui si avventarono verso di esse, generazioni intere si slanciarono, popoli innumerevoli si precipitarono, e muoiono ancora gli uni sugli altri per estrarle dagli abissi dello spirito, donde fiammeggiano cerulamente come le stelle nelle alte notti sull'oceano. Tutto passa e non ne resta nella scienza e nella coscienza che un'idea: ideale per le genti che volevano conquistarla, ricordo per le genti che l'hanno ereditata.

Il popolo più grande nella storia è il più tragico, l'ebreo, che si immola al conquisto di Dio: l'uomo più grande è Cristo, che si lascia uccidere per diventare Dio, e lo diventa.

Tutto è tragedia. Se il popolo vi è inconscio e nel giubilo delle proprie forze vi agisce obbliando la fine, la tragedia diviene epopea, e allora il suo canto ha la sonorità delle onde, l'impeto del venti, la trasparenza del cielo. Ovunque l'epopea è uguale a sè stessa. L'uomo vi si muove in una superba giocondità, che lo rappatuma colla natura da lui chiamata a parte del suo trionfo sulla idea nella quale si trasfigura: ma l'epopea è breve e