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sso e poteva giovare più d'ogni altro perseverando, atterrito dalle altezze cui lo innalzava la rivoluzione, riprecipitò nel fango oramai secolare del proprio passato. Futile e rettorico nella vanità, fu abbietto e pedante nella paura. Così il sogno del cattolicismo liberale svaniva, mentre i sanfedisti ghignavano feroci aspettando dalle prossime disfatte il massacro degli avversari, e gli spiriti veramente rivoluzionari si gettavano alla testa della poca plebe non guasta dalle lautezze dei governi corruttori, per morire disperatamente nel nome d'Italia.
Il risveglio da tanti sogni fu violento. L'energia dell'odio subentrò alla effervescenza dell'amore. Carlo Alberto solo tenne il campo e rimase vinto senza gloria. Cattivo re, soldato nemmeno mediocre, spirito falsamente italiano, il disastro lo rivelò forse contemporaneamente a sè stesso e alla patria. Ridivenuto piemontese nella fuga abbandona Milano, abdica la corona e va a morire sulle sponde dell'oceano, perseguitato dalle maledizioni d'Italia, avvolto nel disprezzo dell'Europa. Allora gli altri spiriti italiani grandeggiarono, Cattaneo a Milano, Manin a Venezia, Guerrazzi a Firenze, Poerio a Napoli, Garibaldi e Mazzini dovunque.
L'epopea si muta in tragedia, tutto fallisce, l'inesperienza dei generali paralizza l'entusiasmo dei volontari, le diffidenze gelose fra i capi disgiungono