nè il dispotismo
stancare. Il popolo, preoccupato solo di vivere, accettava qualunque
condizione naturale e politica; il suo socialismo agricolo, anzi che da
un’idea sociale, derivava dal sentimento del primo gruppo domestico reso
inscindibile dalla necessità della guerra incessante alla natura; la sua
religione, bizzarro miscuglio di tutti i paganesimi, aveva tuttavia una
idealità inestinguibile di giustizia terrena. Il popolo viveva
mestamente. Le sue canzoni cadevano come lagrime sonore lungi per le
steppe nel silenzio dei tramonti, quando il sole invece di sparire
sembrava allontanarsi per l’infinito della pianura, come la lucerna di
un pellegrino, e le ombre della notte precipitavano compatte dal cielo.
Il popolo non aveva nè un’idea politica, nè un presentimento sociale. La
facile isba fabbricata colla scure, e che il fuoco deve divorare
inevitabilmente dopo pochi anni, era come una tenda piantata nella
steppa, dalla quale gli giungevano sul soffio silenzioso del vento
gl’inviti di un viaggio senza meta e senza scopo. Perchè restare come un
punto immobile nello spazio? Ma lo Czar delle foreste moscovite aveva
con un ordine incatenati i mugiks alla gleba, servendosi delle loro
abitudini socialiste nel comune per ribadire loro la catena. Adesso solo
i cosacchi erano nomadi, mentre i contadini attendevano colla pazienza
dei prigionieri di essere vecchi, e quindi liberi da tutti i debiti
comunali, per abbandonare il villaggio e partire pellegrini