Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/104

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le spalle sotto un cappellino di una eleganza incomprensibile per lui, che non aveva mai osservato una donna.

Ella teneva penzoloni nella mano sinistra, stancamente, un grande merletto bianco per avvolgersene il volto al primo soffio fresco. La mano era sguantata.

Ci vollero venti minuti per ritornare sulla strada, che dalla porta della città conduce al cimitero: allo sbocco aspettava una magnifica carrozza con due grandi cavalli bai. Allora egli affrettò il passo inconsideratamente, e potè essere visto dalla fanciulla nel momento che i cavalli partivano al gran trotto; ma nel farla salire sul predellino con quale delicatezza la mamma aveva saputo aiutarla per nascondere agli occhi della gente la sua estrema prostrazione! Alcuni passanti avevano salutato rispettosamente.

Egli tornò in fretta da quella porta entro la città, e sull’altra porta di un gran palazzo barocco sorprese fra due donnicciuole questo dialogo:

— La contessina non arriverà in fondo al mese.

— È tisica marcia: quasi tutti i signori sono così.

— Allora la famiglia Naldi è finita.

— Bel male! non hanno da morire anche i signori? La contessa vedova tornerà a maritarsi; come ama però la sua creatura!...

— Poveretta! — replicò l’altra, addolcendo la voce a questa osservazione, che la toccava nelle fibre di madre.

A lui sembrò di aver saputo tutto. Ma da quel giorno la sua vita interiore parve aver trovato finalmente la tenerezza consolatrice, che le era mancata