Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/108

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scio di tutte le previsioni, che non le avevano concesso altri giorni dopo la caduta delle foglie. Naturalmente si era ingiallita in un colore d’ambra sottilmente venato: solo l’oro dei suoi capelli regali scintillava agli ultimi soli.

Egli la rivide ancora, e non trascorse più giorno che almeno cinque o sei volte non passasse e ripassasse sotto le sue finestre, dacchè una mattina aveva creduto di scorgerla fra due tende, altrettanto bianca, col viso ai vetri, immobile. I cristalli di un pezzo solo, purissimi, lasciavano apparire la sua figura sino alle ginocchia. Egli si arrestò di botto come dinanzi ad una di quelle sante dipinte nelle alte vetriate: i capelli d’oro le facevano sul capo un nimbo di gloria attraverso la luminosità dei cristalli, che rendeva quasi trasparenti anche i suoi abiti. Per fortuna in quel momento la strada era deserta, ma quando potè finalmente sottrarsi all’incanto di quella apparizione senza che ella lo avesse ancor veduto, per rattenere uno scoppio di pianto lì nel mezzo del Corso si disse di aver fatto una grande scoperta.

Quella era dunque la sua camera?

Una voce segreta, inconfutabile, glielo affermava. Infatti tornandovi tutte le sere vi scorse sempre il lume; l’indizio era tutt’altro che sicuro, ma nullameno egli si sentiva certo di non ingannarsi.

Quell’anno l’inverno rigido cominciò a San Martino. Egli tormentato sempre più dalla fame aveva finalmente potuto trovare un condiscepolo, al quale ripetere le lezioni di ogni giorno, nel figlio di un calzolaio, che impietosito dalla miseria di questo nuovo maestro lo invitava tutte le sere a cena. Non era un vitto molto fine, ma abbondante come in vita sua non gli era mai capitato: poi il calzolaio gli risuolò le scarpe e sua moglie gli fece un paio di