Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/117

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goli dello sportello. Egli contò macchinalmente quelle percosse come una ultima eco della propria vita, poi si acquetò. Fuori il rumorìo scemava: ritirò adagio il piede col quale era caduto sopra il cappello, e stette seduto in quel buio, con una oscurità non meno densa sul cuore, senza sentire più altro.

Trascorse molto tempo: qualcuno passò frettolosamente accanto al confessionale, il portello aprendosi e chiudendosi diede ancora molti tonfi, mentre i rumori si attutivano lentamente. Un silenzio enorme, spaventevole, parve dilatarsi nella chiesa. Quindi udì le voci del parroco e del sacrestano intorno al feretro, del quale spegnevano alternativamente le torce per risparmiare la cera regalata alla chiesa; i loro passi vagarono nell’ombra. Il sacrestano aveva le scarpe grosse, mentre il parroco camminava con un fruscìo leggero di donna; dal fondo del confessionale egli avvertì questa differenza con una acutezza, della quale prima non sarebbe stato capace. Ma il tempo doveva essersi allentato: gli pareva che i minuti si prolungassero indefinitamente, una oppressione di terrore, di rimorsi, di ebbrezza soffocava il suo spirito. Quel confessionale gli si mutava nella fantasia in mille immagini difformi, oscillava, affondava precipitosamente in una tenebra senza intoppo. Che cosa aveva egli voluto nascondendovisi? Quando ne uscirebbe? Perchè?

Adesso non aveva più freddo. Il mantellone gli pesava sulle spalle stirandoglisi sulle ginocchia così violentemente che quasi quasi avrebbe creduto allo sforzo di una mano misteriosa, la quale volesse strapparglielo. Un abbarbaglio di visioni gli bruciava nel cervello spegnendosi subitamente, poi una specie di calma, quella rassegnazione dei propositi