Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/124

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pre la stessa minaccia misteriosa sotto il medesimo teschio e i medesimi stinchi incrociati, di un colore scialbo fra la vivezza dei fiori e delle torce. Ma i fiori riempivano tutto lo spazio intorno al feretro come trapunti su tanti cuscini enormi senza una foglia, serrati l’uno contro l’altro, quasi soffocando nei propri odori. L’occhio non poteva cogliere nè toni nè forme; era una densità multicolore con qualche pennacchio come di piume bianche fra strisce uniformi, e righe che formavano parole illeggibili in un abbacinamento di tinte quasi tormentoso.

Invece le ghirlande dai lunghi nastri spioventi si arrotondavano in contorni delicati: una, la più bella, tutta a viole mammole, di un colore malinconico e di un olezzo languente doveva posare sopra la testa della morta, poi ve n’erano di camelie, di gigli dai calici aperti, assetati: poi i mughetti, le rose, tutti i fiori giovani dal profumo intenso e dalla vita breve, una improvvisazione di giardino in quell’inverno così bianco di neve; mentre la neve seguitava sempre a cadere sulla neve, ultimo spettacolo che la giovanetta aveva contemplato dalla propria grande finestra sul giardino.

Era venuto dall’altro lato, presso l’ultimo pancone che toccava la balaustra della cappella; sull’altare ardevano sei ceri dinanzi ad una immagine della Madonna, e una piccola lampada d’argento sospesa ad una funicella scura luceva appena in un angolo. La predella, gli scalini, tutto il pavimento erano coperti di fiori. Oramai il cervello gli si annebbiava. Nel passare pel vano, tra il pancone e la balaustra, siccome il mantello lo impacciava, se lo scrollò dalle spalle, quindi venne tra i fiori ad inginocchiarsi sul gradino davanti al piccolo cancello. Mormorò rapidamente un’avemaria e si voltò verso il feretro. Era impossibile avvicinarvisi senza