Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/135

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cuno se ne avvedesse, i cassetti del banco per cercarvi un’arma: erano chiusi.

— Ti sei messo da te nella trappola — uno gli disse ghignando dallo spigolo dell’uscio.

— Lasciatemi, corpo di Dio! — urlava Santone. — Nessuno m’impedirà di finirlo. Ha voluto darmi una coltellata nel fianco, all’improvviso: glielo farò mangiare io il coltello, tutto a pezzettini. Ridi, ah! — gridò essendo già riuscito a liberare la mano, nella quale teneva il coltello.

Tutti si ritrassero istantaneamente, solo il vecchio Rocco gli rimase di faccia.

— E adesso dove vai?

— Lo ammazzo.

— Bella forza! per schiacciare una cimice come lui basta un’unghia.

L’osservazione era così vera che tutti fremettero; Viù, cogli occhi sbarrati, tremava.

— Lo vuoi ammazzare? — seguitò Roccò staccandosi dal banco per mostrargli il ragazzaccio, mentre prima glielo nascondeva quasi col corpo. — Non lo vedi che è già morto di paura? Va là, Santone, che la è proprio cosa da te! Lascia andare, tu sei un uomo.

— Ha voluto ammazzarmi — mormorava l’altro, lasciandosi afferrare nuovamente la mano, nella quale brandiva il coltello.

— Date mente a Rocco, Santone — interloquì la Teresa.

— Tu porta subito una bottiglia, vecchia avara, ma se non è di quello, mi hai capito, invece di tirare il collo al gobbo lo tiriamo a te — le si volse Rocco di mala voglia.

— Bravo, Rocco!

Si cominciava già a ridere, questi aveva tratto il coltello di mano all’altro e, conoscendo il suo