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tarvi intorno mulinando colla donna senza mai urtarvi del piede; nel caso contrario doveva pagare, ma se gli riusciva invece toccava all’avversario. Ed era il ballo più festoso, che eccitava tutti gli orgogli e tutte le curiosità come gli a solo in teatro.
Viù si accostò a Giga.
— Ohè, Mora, vuoi fare una galletta con me?
— Perchè no? adesso, dopo.
— Allora chi pigliamo? Santina?
— È andata via poco fa.
— Con chi?
— Lo so io? — rispose la Mora con un sorriso sprezzante che le scoperse tutti i magnifici denti bianchi. — Cerca tu le donne che vuoi.
Per il ballo della galletta ce ne volevano quattro, e un uomo solo nel mezzo.
Viù invece si accostò a Toto:
— Dov’è Santina?
— Era quasi ubbriaca del tutto, sarà andata a casa.
— Imbecille! Lei non va a casa se è ubbriaca: l’avranno portata fuori.
Toto si mise in cerca che già Perpignano, il direttore di sala, batteva le mani per il nuovo ballo; i ballerini ritornavano lentamente dal caffè a coppie, perdendosi fra la folla, mentre Caputo tentava d’accordare il violoncello e la gente rimaneva sempre lì nel mezzo.
— Indietro dunque, indietro! — gridava Perpignano colle lunghe braccia distese per disegnare il circolo, e intanto chiedeva il soldo a tutti gli uomini che si disponevano in fila con una donna.
— Indietro dunque! Paga il soldo tu, Cristiano: va bene, spingi indietro. Ehi, Tonio! non hai pagato nemmeno l’altra volta, credi che me ne sia scordato? Per Dio! ma se non date indietro vi pesto