Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/153

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E si separarono.

Santone scendeva appunto le scale per tornare a casa, quando essi rientrarono nell’andito.

— Dove vai?

— A letto.

— Vuoi venire con noi invece?

— Dove?

— Abbiamo la Sghemba di Porciano nel capanno della Costa.

— Ohè! — esclamò Santone sorridendo — siamo noi soli?

— Ritorno adesso di là, è mezzo ubbriaca: ho detto che venivo a prendere un fiasco. Vedrai che rideremo.

— Andiamo pure.

Toto non aveva fiatato; malgrado la sua precoce malvagità quel tentativo lo spaventava. Lungo il muraglione diede una gomitata a Viù, ma questi gli disse di andare innanzi; quindi scesero adagio, circospetti, perchè Santone meno agile di loro veniva ultimo.

— Com’è che non parliamo? Pare che andiamo a seppellire un morto — questi esclamò.

— Sta zitto, qualcuno potrebbe seguirci; è meglio che siamo soli.

— La Sghemba ne ha viste ben altre.

— Sai pure che quando s’impunta è capace di non volere alcuno.

— Questa volta la vedremo! — replicò Santone con un franco riso. — È tutto carnevale.

Erano scesi.

— Vado io, voialtri venite adagio — disse Viù sparendo rapidamente nell’ombra.

I due si fermarono. Toto tremava. Benchè il capanno non si distinguesse ancora, non era a più di cinquanta passi entro una insenatura della ripa