Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/165

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bianco di serenità. Poi venne la sera e il sole sparve improvvisamente all’orizzonte come inghiottito da un vortice.

A mezzanotte il ponte era deserto.

Il colonnello seduto a poppa volgendovi le spalle guardava innanzi a sè nel buio; il vapore ansava, ma sotto il suo rullìo si sentiva sempre il silenzio del mare.

Improvvisamente una figura nera gli si fermò dinanzi, parve attendere un istante, quindi gli sedette vicino.

— Io sono di Mosca — disse poi. — Eravate voi, signore, della Grande Armata contro la Russia?

— Sì.

Il giovane si alzò, gli prese una mano e recandosela repentinamente alle labbra esclamò:

— Permettetemi, permettetemi, signore! Noi, l’ultimo popolo nella storia d’Europa, dobbiamo il nostro attuale risveglio a Napoleone. Voi ci avete invasi, ci avete sconfitti, perchè la civiltà sconfiggerà sempre la barbarie; poi le nostre nevi vi copersero, il nostro ghiaccio vi gelò. Noi v’inseguimmo come lupi, arrivammo sino a Parigi, e Parigi ci rivelò a noi stessi. Allora sentendo di essere barbari cessammo di esserlo. Voi eravate, signore, della grande campagna!

— Sono stato di tutte.

— Tutte! — proruppe guardandolo con ammirazione: — a tutte le battaglie, a tutti gli assedi, da Madrid a Mosca, da San Giovanni d’Acri a Waterloo!

— A tutte — rispose il vecchio con un accento, che sembrava uscire da un sogno.

— Quale epopea e quale grandezza per Napoleone se invece di essere un conquistatore fosse stato un apostolo come la storia gl’imponeva! Ma fu