Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/192

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il rivolo, che mormora tra i sassi, il sole, che al tramonto indora le cime delle colline.

All’ultimo scoppio del ritornello si sente lo scoppio del bacio, che la futura regina dà alla mamma intenta a rimboccarle le coperte.

Passò un anno.

La regina è ammalata di tisi, la malattia delle vergini e delle sante: quando l’anima sola vive il corpo non ha che morire. Si è levata sentoni sul letto e prega la madre di svegliarla all’alba per vedere l’aurora del nuovo anno. Il soliloquio prosegue lento e stentato: un lumicino rischiara la camera, nell’aria pesa la nausea di un alito viziato, ma l’inferma perdendosi nei ricordi della propria incoronazione vorrebbe vivere fino alla prossima primavera. Perchè? È un rimorso, che le sale dal corpo disfatto come un bisogno supremo di sentire la natura prima di abbandonarla? O il desiderio di avere molti fiori al proprio funerale? Chi lo sa? Quindi coll’intenerimento contagioso dei malati parla della chiesetta parrocchiale, rammenta il piccolo camposanto, finchè ripresa improvvisamente dalla vanità della ragazza, con un irresistibile impeto d’affetto espresso in versi mirabili, scongiura la mamma a seppellirla sotto la spinalba, che nel mattino trionfale di maggio le fece da baldacchino al trono. La vanità è dunque la sua unica passione, come la tisi doveva essere la sua unica malattia, s’ella non vuole che corone e non sogna che di mostrarsi dall’alto, sui gradini di un altare o di un trono? Forse, ma i sermoni del buon pastore le sovvengono a tempo e, soffocando tutte le voci dell’orgoglio, le sgorgano dalle labbra scolorite in tante consolazioni per la mamma.

Povera mamma! Come dev’essere dolorosa la mo-