Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/22

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come di vento gli si rompeva dall’interno entro gli occhi, e glieli gonfiava inaridendoli.

Appoggiò una mano sull’orlo dello scrittoio, quindi girandovi intorno venne a cadere sulla poltrona. Era anch’essa in crespo di lana verde, con una stretta spalliera semicircolare. Si trasse più vicino la candela, si passò il fazzoletto sugli occhi. La fronte gli era diventata perlacea sotto i capelli neri, dritti e tagliati a spazzola, che rendevano più dura l’espressione della sua faccia.

Infine bisognava rileggere.

Benchè stravolto, comprendeva tutto; lo aveva capito nello scoppio stesso: era stata una visione istantanea, accecante come quegli incendi dei temporali notturni, alla luce dei quali si scorgono in un attimo i particolari più minuti, meno osservabili di un paesaggio, e poi tutto ritorna nero, tempestoso, fragoroso, pauroso.

Da molto tempo aveva voluto scordarsene, ma lo sapeva.

La lettera era proprio di Anselmo Roberti, il suo amico d’infanzia, poi di studi, nato a Marradi e venuto cancelliere nella città da quattro anni; era la sua calligrafia rotonda, chiarissima, una calligrafia da impiegato.

Che cosa era stato? Perchè?

Era troppo presto, non doveva essere, perchè mancavano ancora quarantacinque giorni alla scadenza.

Rileggeva sempre, forse per la decima volta, brancolando col pensiero fra le lettere, che gli si dilatavano dinanzi agli occhi, quasi staccate dalla carta. Ma attraverso tale sensazione leggeva con chiarezza sempre più spaventevole. Quelle poche