Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/24

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vato un presentimento; anzi nella sua vita ancora giovane, abituato come era da tempo a cercare danaro per la piazza, vantandosene cogli amici se gli riusciva bene qualche difficile operazione, non si era mai sentito così profondamente scoraggiato. Eppure non si trattava che di girare una cambiale di cinquecento lire, questa volta in piena regola. Ma il credito gli sfuggiva da parecchi mesi, la gente e le cose cangiavano intorno a lui; non aveva più quel bell’umore facile ed espansivo, che seduceva le persone, e col quale sovente perveniva a trarsi senz’altro d’impaccio: pensieri tristi lo travagliavano, improvvisi sgomenti gli facevano vedere il mondo in nero traendogli dalla bocca quelle frasi pessimiste di chi non si sente bene in gambe. Erano impazienze nervose, scatti ingiustificabili, coi quali offendeva talora scioccamente le persone inimicandosele; e poco dopo si accorgeva del male fatto, giacchè gli capitava d’intoppare in visi chiusi, gli cascavano addosso giudizi sospettosi, diventava come tutti gli altri caduti volontariamente nella sua posizione, un oggetto d’esame fra la gente pettegola o grave, che valuta le riputazioni e pesa tutti i valori.

A Bologna quella mattina aveva dovuto subirne la dolorosa esperienza più di una volta. La sua aria preoccupata, le grosse nubi che gli passavano sul volto, erano state osservate; tutti quei mercanti, quei minuscoli uomini d’affari, così poco colti e perspicaci parlando di politica o d’altro senza immediati rapporti alla loro vita, erano di una penetrazione inquisitoriale, avevano il colpo d’occhio infallibile per indovinare certe crisi o cogliere certe situazioni.