Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/28

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partita era seguitata fra i soliti discorsi nella bonomia tranquilla di tutte le sere.

Ma quel gran colpo gli aveva tolto anche la memoria di tale triste ritorno.

Poi una paura lo assalì; si nascose frettolosamente la lettera nella tasca dei calzoni e in punta di piedi, lasciando la candela sulla scrivania, venne ad origliare all’uscio della camera da letto. Caterina dormiva con un russo leggiero: stette qualche minuto coll’orecchio incollato alla fessura dell’uscio, poi a ritroso, senza urtare in alcun mobile, rientrò nello studiolo.

La mente gli tornava: ritrasse la lettera dalla tasca e, ubbidendo alla preghiera dell’amico, la bruciò, con un senso quasi di sollievo. Era la prima accusa distrutta.

Che fare?

In quel subbuglio di tutte le idee non poteva ancora rendersi un conto, anche solo relativamente esatto, della propria situazione, ma sentiva che fra poco, quando saprebbe meglio dominarsi, non troverebbe egualmente nulla. Era sempre la stessa sensazione di un buio improvviso e cieco, nel quale non poteva nemmeno gridare: da chi invocare soccorso? Qualunque fosse il perchè o il come di tale catastrofe, la violenza non ne diventava che maggiore. Nessuno lo aveva rovinato, nessuno in quel momento lo spingeva nell’abisso. Era stato lui solo, gaiamente, storditamente, per un seguito di piccoli piaceri, di minime compiacenze, di false abitudini, a mettersi in quell’abbrivo, lusingandosi fantasticamente di potersi sempre fermare, coll’esempio di tanti altri, che avendo fatto o facendo tuttavia assai peggio, rimanevano ancora in piedi, salutati, ricevuti