Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/62

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quella testa glabra, rugata, nella quale la bocca storta e socchiusa sembrava immobile per la fatica di una troppo lunga masticazione, mentre negli occhietti grigi si accendevano brevi luccicori di acciaio vecchio. Tutto in lui era povero; il colletto della camicia dritto, ma senza amido, usciva da un sottile cencio di cravatta, che doveva stringergli il collo fin troppo, il bavero del pastrano era grasso, il resto degli abiti sgualcito e stinto. Solo le scarpe apparivano solide, grosse e rossastre nella peluria, che la mancanza del lucido aveva lasciato crescere sulla tomaia.

Fino alle due Romani era vissuto dentro un incubo. Se ne ricordava bene, giacchè tutte le percezioni gli erano rimaste chiare: si era sentito già denunziato, perduto, senza che dal fondo dell’anima gli sorgesse una qualunque resistenza.

Quando rientrò nella bottega, aveva quello strano sorriso, col quale gli ammalati senza speranza accolgono talvolta il medico. L’altro invece era più ciarliero: trasse di tasca il danaro, lo contò e lo ricontò alla sua presenza.

Romani vi scorse un bono da cinque lire falso, ma non osò farne l’osservazione: si sentiva scoppiare in una dilatazione subitanea di benessere, che gli gonfiava cuore e polmoni; negli occhi gli entrava una luce stranamente limpida e, poichè vide passare due signore di sua conoscenza sotto il loggiato, si volse scioccamente per salutare.

— Siamo intesi per la scadenza.

— Non dubitate.

— Se avessi dubitato...

Ma Romani aveva già la gruccia dell’uscio in mano.