Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/85

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gli cresceva: nella fretta di evitare la città non aveva temuto anzitutto che un incontro col signor Bonoli o con lo strozzino, a quest’ora naturalmente piccati da un desiderio crudele di curiosità a suo riguardo. Avevano presentato essi medesimi la cambiale in pretura? Il caso era poco probabile; secondo il solito, colle più vecchie convenienze del mestiere, lo strozzino doveva aver finto una qualche girata, giacchè tutti i suoi pari sono sempre provvisti delle così dette teste di ferro. Ma egli, incontrandolo, non avrebbe saputo qual contegno tenere; non lo odiava, anzi per una di quelle condiscendenze imposte dalla pratica della vita, riconosceva che, agendo in tal modo, colui faceva solamente il proprio interesse. Di che cosa lagnarsi? Ma dinanzi alla sua faccia di sparviero disseccato, con quegli occhi metallici, la bocca che non sorrideva mai, gli sarebbe stato impossibile resistere.

Sotto l’argine del fiume, lungo il ripiano della sponda, erano aperte ancora alcune cavità di alberi abbattuti da gran tempo, che un’erba minuta aveva tappezzato finamente. Il sole dardeggiava, aliavano farfalle, un soffio di scirocco scuoteva mollemente le cime già pesanti dei grani. Si fermò per udire qualche cicala stridere; invece dal fiume ascese la nota dolce e gorgogliante di un rospo. Allora calò dall’argine per nascondersi entro una di quelle buche, all’ombra di una vecchia quercia dai rami rachitici e il tronco giallastro come di una ruggine d’oro.

L’erba era soffice.

Cavò di tasca la rivoltella a canna corta, nichelata, del calibro dodici: stette lungamente contemplandola, come in una di quelle distrazioni attonite,