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un po’ di riposo, vola via verso Humulești, e io lì che piango come un disperato a vedermela scappa’! Ma io che fo? Agguanto il vecchio per il mantello, perchè voleo che mi pagasse la bestia:

— O che vi credete, nonno, di scherza’ colla roba dell’altri? Se non la voleate compra’, perchè allora me l’aete fatta scappa’? La vostra bestia che vi credete ora di riportarvela a casa? E c’è poco da ride’!

E, impalato davanti al vecchio, sbraitavo tanto, che la gente faceva un pieno come davanti a’ baracconi quando ci recitano: d’altronde o che non s’era alla fiera?

— Ma, bimbo mio, ci vo’ crede’ che se’ un bel tipo? C’è da arrabbiarsi poco. Ohe, ohe! non ti crederai mica d’ave’ un vitello per un’upupa, veh! E’ par che tu abbi rosa alla vita a quel che vedo, e io te la gratto se tu vói, ma pensaci bene, che per escimmi dalle mane poi, m’hai a chiede’ grazia, eh!

— La scia sta’ ’n pace ’l ragazzo — disse uno di Humulești — gli è ’l figliolo di Stefano di Pietro, uno che ha di suo del bene qui nel paese, e per quest’affare te l’avrai a rifa’ con lui!

— Va’, va’, salutamelo tanto, brav’uomo; o che ti credi che non ci conosciamo io e Stefano di Pietro? — disse il vecchio — L’ho visto or ora che andava di qua e di là col metro sotto ’l braccio a compra’ pannine, com’è del su’ mestiere. Ora sarà per qui a be’ un gotto dopo d’ave’ combinato l’affare. Ho caro di sape’ chi sei, bimbo. Vieni qua che ti porto da tu’ padre per vede’ se t’ha mandato lui a vende’ l’upupa e tramutà ’l mercato ’n d’un putiferio!

Non c’era nulla che ridi; ma, quando mi sentii parla’ di mi’ padre, abbassai la cresta e via di troppo verso Humulești; e ogni tanto mi voltao a vede’ se ’l vecchio mi venia drieto, perchè questa volta, a di’ la verità, ero io che avevo paura di lui. Lo sapete ’l detto: «Lascialo anda’» — «Io sì che lo lascierei anda’, ma è lui ora che non mi lascia!». Come e qualmente mi succedea a me; però ero contento lo stesso d’averci rispiammate le paghe!

Un altro scrittore che si ricollega al cenacolo delle «Convorbiri Literare» è Ion Slàvici (1848-1925), che fu considerato come il più gran novelliere della Transilvania. Nelle sue novelle egli ha dipinto con finezza d’analisi e vivacità di colorito gli sforzi eroici dei preti e dei contadini di quella provincia romena allora sotto il dominio ungherese, per conservare le caratteristiche e gli ideali della loro nazionalità, facendo opera di propaganda culturale e patriottica, e, per ciò che riguarda i contadini, tenendosi strettamente aggrappati alla terra ed ai costumi degli avi per non lasciarsi sopraffare da una cultura straniera, che spesso era loro imposta colla forza e non si faceva scrupolo di usare ogni mezzo per snazionalizzare ed assimilarsi la popolazione romena, tenacissima soprattutto nelle campagne.

Dei volumi di novelle dello Slàvici citeremo: «Nuvele din