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tezza e una felicità da vero maestro. Il seguito di «Ion» è intitolato «Răscoala» (La ribellione) ed ha come sfondo la ribellione dei contadini romeni del 1907 che fu soffocata nel sangue e segna una data funesta nella storia romena contemporanea. L’autore ha lavorato ad essa per molti anni tenendolo chiuso nel cassetto per molto tempo dopo averla finita, senza alcuna fretta di darlo alle stampe e, meno qualche pagina di un realismo eccessivo, può considerarsi uno dei più riusciti romanzi romeni degli ultimi anni. Meno riusciti sono «Gorila» (Il gorilla) e «Jar» (Brace) che vennero dopo.


Da «Ion» di Livu Rebreanu.

I.

LA TERRA.


Il tempo si ridestava. L’inverno, simile a un vecchio cattivo, si rattrappiva tutto sentendo l’avvicinarsi della primavera, sempre più carezzevole. Il manto di neve si riduceva a brandelli, scoprendo ogni giorno più il corpo nero della campagna... Ion non aveva avuto la pazienza di aspettar questi giorni. Padrone ora di tutte le terre, anelava vederle, accarezzarle come tante innamorate fedeli. Nascoste sotto i mucchi della neve, a mala pena aveva potuto, durante l’inverno, raffigurarle. Il suo amore aveva bisogno del cuore della tenuta. Desiderava sentir l’argilla sotto i piedi, sentirvisi attaccar le «cioce», aspirarne l’odore, empirsi gli occhi del suo colore inebbriante... Uscì solo senza arnesi, in abito da festa, un lunedì. Salì diritto verso la collina, dov’era l’appezzamento di granturco più grande, il migliore, sul discrimine della collina... Come più s’avvicinava, più discerneva la sua tenuta spogliatasi della neve come una bella ragazza che si fosse tolta la camicia e mostrasse senza più veli il suo bel corpo nudo tentatore...

Aveva l’anima compresa di felicità, gli pareva di non desiderar più nulla e che neppure esistesse in tutto il mondo un’altra felicità che non fosse la sua. La terra s’inchinava a lui; tutta la terra... Ed era tutta sua, solo sua, ora... Si fermò in mezzo al campo. L’argilla nera, appiccaticcia, gl’inchiodava i piedi, appesantendoglieli; attirandolo come nelle braccia di una amante appassionata. Gli ridevano gli occhi, e il viso gli si era tutto bagnato di un sudore caldo, appassionato. Lo invase un desiderio selvaggio di abbracciar la terra, di inchiodarvi sopra i suoi baci. Tese le mani verso i solchi dritti, grassi e umidi. L’odore acre, fresco e fecondo gli accendeva il sangue... Si curvò, prese tra le mani una zolla e la franse tra le dita con un piacere quasi pauroso. Le mani gli rimasero unte nell’argilla appiccaticcia, come se le avesse nascoste in guanti neri da lutto. Aspirò l’odore, fregandosi le palme. Poi piano, religiosamente, senz’accorgersene, cadde in ginocchio, abbassò la fronte ed incollò le labbra con voluttà sulla terra umida. E in quel bacio furtivo sentì un brivido freddo, fu preso da un capogiro... Si rialzò di botto vergognoso e si guardò attorno per assicurarsi