Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/209

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Guardò tutte quelle piccole cose che invadon l’esistenza. Una carriola, spinta da un ungherese baffuto, reggeva un’architettura complicata di scatole rettangolari. Gli autocarri delle grandi case di commercio trasportavan quintali di regali. Una pesante automobile postale sembrava una piramide di pacchi.

...Era impossibile non ci fosse qualcosa anche per lei. Il desiderio della proprietà la fece soffrire come per un morso inatteso... Avrebbe voluto fermare qualcuno di quegli uomini... quale?... perchè non perdesse tempo a cercarla, perchè non s’affaticasse invano... Lei era lì...

Passavan sempre facchini carichi. Nulla per lei?

La sua vita, il suo posto nella vita, non esistettero più. Allora, lì, in quella città straniera, volle un posto, una soglia, una storia.

Era un giorno di festa. Volle fosse di festa anche per lei... Poco prima eran sonate le campane. Le campane suonano per tutti. In lei eran sonati i vespri. Quegli uomini erravano, peccavano. Fu presa da una grande agitazione; come se non si fosse trattato di una qualsiasi povera scatola che un suo movimento brusco avrebbe potuto rompere; come se quelli che le passavan d’accanto fossero i doni della vita, mandati, portati, distribuiti da innumerevoli mani ad altri, a tutti!... Volle gridar loro che si sbagliavano. Nella fabbrica della Provvidenza era impossibile che non si fosse lavorato a qualcosa anche per lei!

Quei portatori di beni la frodavano, la derubavano. Portavano a un’altra porta, ad altri esseri le gioie, i dolori che eran destinati a lei... Il rumore che facevano i suoi sensi turbati la fece riscuotere. Ascoltò di nuovo il chiasso assordante della strada.

Decise di partir subito. Attraverso il vetro completamente appannato del negozio d’armi davanti al quale s’era fermata, si distinguevano un pugnale che pareva antico, delle pistole... Tutte quelle armi avevan l’apparenza di giocattoli inoffensivi, arrugginiti.

Col fragore d’un tuono, la saracinesca di ferro le cadde in faccia così vicino che sembrò quasi le avesse tagliata la testa. Ebbe un senso di ribellione per la brutalità del gesto, ma il sipario di ferro ondulato era lì davanti a lei col suo color grigio. Muto, immobile, sarcastico, come un ostacolo dietro il quale sghignazzasse il demonio che ci chiude sul muso le saracinesche della vita!...

...Riprese a camminare, ma non ritrovava la sua andatura; non poteva riprendere il suo passo solito, il moto abituale del suo ritmo corporeo e di nuovo le parve di esser vestita con una giacca stretta, corta, leggiera; si sentì sui capelli un cappellino logoro, mentre le altre donne le passavano accanto avvolte in dieci metri di pieghe, perdute nella ricchezza delle ampie pellicce, barbaramente aureolate di penne favolose.

Improvvisamente volle gridare. Le parve di essere entrata in un incendio. Un cinematografo accendeva tutte le luci di quattro piani di facciata di un «Palace nuovo, sfavillante come l’illuminazione di un’intera capitale in una giornata di feste popolari.

Credette di accecare. Il nome d’una divinità vulcanica brillò in lettere di fuoco.

Sotto il portone un curioso tipo gallonato di rosso e d’oro, in un costume fantastico, movendosi a passi marziali, gridava qualcosa con accento grave, senza che paresse accorgersi del suo ridicolo.