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d’immaginazione? Ne’ suoi scritti non troverete mai neppur l’ombra di una simile preoccupazione. Egli credeva in buona fede che, non che i Romeni, l’umanità intera, fosse vissuta nel medioevo come a lui faceva comodo di immaginare.

Ed Eminescu continuava a leggere in mezzo alla noia universale.

Finalmente, come tutte le cose di questo mondo finiscono, anche quella lettura finì. Era durata quasi due ore e bisognò prendere il thè, che la mezzanotte era passata.

Non ricordo bene la critica che il Maiorescu fece del «Povero Dionisio»; ma ricordo benissimo che una critica la fece. Quanto agli altri, eran tutti d’accordo che la novella era di una stravaganza imperdonabile.

Il Negruzzi non faceva che ripetere:

— «Che diranno i lettori delle «Convorbiri?».

Il che non gli impedì, naturalmente, di chiedere ad Eminescu il manoscritto e di cacciarselo in tasca.

Eminescu non intervenne nella discussione. La lettura lo aveva spossato. Si vedeva che in quelle due ore aveva vissuto della vita del «Povero Dionisio» e, del resto, aveva sempre un po’ l’aria di non trovarsi troppo a suo agio nella «Junimea».

(Trad. di Ramiro Ortiz, op. cit.).


Questo non trovarsi a suo agio è la ragione per cui ho voluto citar questo brano: per mostrare che, a differenza di altri storici della letteratura romena, io non ritengo punto l’Eminescu come un esponente della «Junimea», in cui, per quanto apprezzato e incoraggiato, egli non si trovò mai a suo posto. Saremmo certo ingiusti e verso il Maiorescu e verso la «Junimea» se non riconoscessimo che Eminescu deve moltissimo e all’uno e all’altra; ma che ne condividesse tutte le idee non ci sentiamo di poter affermare.

Degli epigoni di Eminescu, Alexandru Vlăhutză (18581919) merita certo di essere segnalato per una certa sua originalità di atteggiamento nelle poesie migliori. Pessimista per natura, il Vlăhutză trova però il suo rifugio nella religione e parecchie delle poesie ispirate a questo sentimento son degne di attenzione. Coltivò anche la poesia sociale, inveendo contro le cosiddette ingiustizie e colpe della società borghese con accenti di un vago, superficiale e lacrimoso socialismo, per colpa del quale le sue liriche oggi son tutt’altro che all’unisono col sentimento moderno. Tradusse le poesie di Ada Negri in bella forma romena, e in prosa scrisse una specie di guida del paesaggio romeno intitolata: «Romania pitorească» (La Romania pittoresca), cui è soprattutto raccomandata la sua fama.