Pagina:Ortiz - Per la storia della cultura italiana in Rumania.djvu/129

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role „a peggior sentenza ch’ei non volle”, tanto più ch’egli è persuaso, che, in fin de’ conti, la colpa non è tanto dei Rumeni, quanto di coloro che li governano. Eccolo dunque soggiungere: Non già che i Valachi sieno privi di buon ingegno, e di coraggio, a segno di potere star a confronto di qualsiasi bellicosa Nazione; ma le continue esorbitanti Gravezze e Tributi, che molte volte in un anno debbon pagare, gli ha talmente avviliti, che dell’antico Romano valore non è restato loro altro che ’l nome.1 Chiamansi adunque in Lingua loro Romuni, e la Patria loro, cioè la Valachia, la chiamano Tzara Rumaneàsca; ed infatti, se mai vi fosse chi dubitasse, che la nazione Valaca moderna tragga la sua Origine da’ Romani, che vi si stabilirono per Colonia, consideri attentamente il loro Linguaggio, e conoscerà non esser altro la Valaca farella, se non una pura, e mera corruttela del Latino idioma; è ben però vero, che di quando in quando vi si osservano frammischiate parole Turche, Greche, Illiriche, Unghere ecc., ma ciò non dee recar meraviglia, se riflettiamo e alla vicinanza, e al commerzio che hanno avuto i Valachi, con quei popoli”2. Non so, se, a proposito della tanto discussa origin latina del rumeno, si poteva parlar meglio di come parla il Del Chiaro, al cui intuito critico è forza tributar lode, in tempi nei quali l’origine latina del rumeno non era un assioma, neppur per quelli che lo parlavano. Lo stesso Raicevich, che pubblicava le sue Osservazioni storiche, naturali e politiche intorno la Valachia e la Moldavia il 1788, cioè una settantina d’anni dopo il volume del Del Chiaro, pare un po’ sconcertato dal miscuglio che gli par di vedere nel rumeno di parole latine e di parole slave. È inutile dire, che, da buon suddito austriaco, si guarda bene dall’accennare all’origine sì della popolazione che della lingua,

  1. Op. cit., p. 8. Si può perdonare al nostro scrittore il non aver veduto quanto luoco covava sotto quella cenere; non gli si può perdonare, che, dopo la pace di Passarowitz, per rendersi gradito all’Altezza Serenissima di Antonio Ferdinando Gonzaga „congiunto coll’Austriaca Augustissima Casa Regnante voglia gabellarci la Valacchia, „racconsolata delle sue passate sventure in vedendo una parte di se stessa ridotta in potere di Cesare” e anelante al „felice momento di vedersi” tutta „ricoverata sotto le Ali dell’Aquila Austriaca.” Alla grazia del bel ricovero! O non sapeva l’ottimo Del Chiaro che le aquile hanno anche gli artigli? Il dolore, per quanto muto e impotente, di un popolo che si sente strappare un brano della propria carne, meritava, o m’inganno, un po’ più di rispetto.
  2. Op. cit., p. 8.