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(1 — 50) dedicate alla Valachia, e queste non troppo interessanti, anche per la parzialità dei giudizii, che offendono il lettore spregiudicato e sereno.

Ad ogni modo non si creda che il Sestini parli male delle popolazioni rumene, attraverso le quali viaggia, chè anzi le descrive miti e ospitali per quanto rozze e superstiziose. Egli l’ha col Principe, e più ancora col Segretario del Principe, che non volle saperne di cedergli il posto quando fu arrivato; ma è naturale che un pochino della stizza, che ancora gli rimaneva nell’animo, per il modo com’era stato trattato, si riversasse anche sulla popolazione. Della quale, del resto, parla assai di rado, onde il suo viaggio par fatto attraverso luoghi disabitati, in cui non s’incontra che di tanto in tanto qualche autorità (quasi sempre un Ispraivnic) o qualche messo, che presto scompare a spron battuto per la campagna. Di questa invece e delle piante, e dei fiori che vi crescono, parla davvero un po’ troppo, annoiando il lettore cui importa fino a un certo punto di sapere che in tal luogo ci sia o non ci sia l'Aristolochia clematis, o il Nastrutium indicum o la Spiraea filipendula1, specie

    tale causa, motivo per cui fu mandata la questione a studiarsi, e a sciogliersi in qualche foro estero, ma indi fu sentenziato in ultimo esame dal Principe, in una pena pecuniaria, e non potendo il delinquente trovarla o pagarla, seguitava a stare ritirato nel monistero, e forse col tempo si farà Papas per esserne affatto libero”. E qui il Sestini non manca di scagliare un’altra frecciata all’indirizzo di quel Signor R..., col quale non aveva troppo buon sangue: „Forse se il codice delle leggi che il disopra citato segretario aveva in pensiero d’ordire, era stato scritto a lettere d’oro, naturalmente il delinquente si sarebbe trovato a peggior partito del primo.” Op. cit., pp. 22— 23.

  1. Sulla moda botanica nel settecento, si pul consultare utilmente la buona memoria di P. A. Saccardo, La botanica in Italia in Memorie del R. Istituto Veneto di Scienze, lettere ed arti, voll. XXV e XXVI, Venezia, 1894— 96. La moda durava ancora nei primi decenni del secolo XIX, e tutti ricordano la curiosa corrispondenza tra il Manzoni e il Fauriel negli anni che lo Scherillo chiama dell’„infatuamento georgico” del Manzoni, quando Madame de Condorcet gli mandava a regalare l'Almanach du Bon Jardinier de 1820, il povero Fauriel era tempestato di lettere perchè gli procurasse „graines de fleurs..., arbres et arbrisseaux exotiques, qui vous pourrez conjecturer n’etre pas encore multipliées en Italie”, e il Manzoni si vantava, più che d’avere scritto i Promessi Sposi, d’essere stato „il primo introduttore delle robinie in Italia” 1 Cfr. Scherillo. Il decennio dell’operosità poetica del Manzoni in Opere di A. Manzoni, Milano, Hoepli, 1907, III, pp. XXXIV, nota 1, XXXVI e XL. Nella medesima lettera al Fauriel del febbraio 1811, in cui lo prega di fornirgli semi di fiori esotici e di robinie, tro-