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Poiché anche molti rumeni fanno ora i loro studii in Italia. Molti componenti la famiglia Cantacuzino studiarono in Italia; ma, più degli altri, mette conto ricordar qui lo Stolnic Costan-

    canti Valachi) riesce assai bene nel dipingere, a segno tale che ha copiato motlo esattamente alcuni quadri di Chiesa in Venezia, e ritornato poi nella Valachia ha fatto quivi diverse pitture, tra le quali un S. Francesco inginocchioni in atto di ricever le Stimmate, il quale si vede nell’Altar Laterale a man diritta per andar all’Altar maggiore nella nostra chiesa di Tergoviste. ”Orbene di un’icona greca raffigurante S. Francesco in atto di ricever le stimmate, la cui „sévérité archaique’ è per giunta „amollie par des recherches de dessin italien Et De Coloris Venetien” ci parla proprio in questi giorni (fase, del 10 gennaio 1913) E. Bertaux nella Revue de l'Art. ancien et Moderne pp. 32— 33 a proposito del bizantinismo del Greco (Notes sur le Greco. III. Le byzantinisme). Si tratta di un’icona dipinta sul rovescio della tavola centrale di un trittico veneto-bizantino reppresentante la Crucifissione, il giudizio Universale e la Risurrezione. Che non si tratti della nostra icona? Disgraziatamente il Bertaux che l’ha vista a Lione da un antiquario, non sa dove sia andata a finire, di maniera che dobbiamo contentarci della fotografia pubblicata a p. 32 del citato fascicolo della Revue de l'Art. Il fatto che ciascuna tavola del trittico ha la faccia posteriore dipinta non vuol dir nulla, poi che dagli argomenti delle tre pitture, impugnanti ad una unica concezione, (La Natività, Le stimmate di S. Francesco e la Pentecoste), è chiaro che non abbiamo a che fare con un trittico. Inoltre quella „simplicité d’ordonnance qui semble revenir au temps de Giotto” e quella „technique toute byzantine”. e soprattutto il fatto che „ces mèmes accents de couleur bianche qui détaehent les figures sur le fond noiràtre, ces doigts filés d’un trait de pinceau, ce rochers archaiques, ces arbres nains”, li ritroviamo „dans une des plus anciennes oeuvres, que le Greco ait signées, le petit Saint Francois” (p. 33), ch’è ora in possesso d’Ignacio Zuloaga; mi farebbero conchiudere più per una copia del quadro del Greco che il nostro pittore valacco potè vedere a Venezia, che per un’influenza esercitata da questa o da altre icone di tal genere sul Greco principiante. Se non che, a giudizio del Bertaux, l’icona che tanto c’interessa appartiene al secolo XVI, Se è proprio cosi, non c’è che fare: la pittura di Târgoviște è andata smarrita, ma quei caratteri, che la fan ritenere al dotto critico francese per un’opera del sec. XVI, non potrebbero per caso interpretarsi come effetto dell’imitazione del Greco e degli altri pittori cretesi che lavorarono a Venezia in quel tempo? Non pretendo muovere un’obiezione. È una domanda che rivolgo ai competenti in materia ed alla quale chiedo risposta. È certo ad ogni modo che il S. Francesco del giovane vaiacco in questione appartiene alla medesima scuola veneto-cretese che fiorì a Venezia nel sec. XVI, e, nel seguente XVII, e, poiché pare che piuttosto che a comporre fosse abile a copiar quadri di chiesa, ritengo assolutamente probabile che il Suo S. Francesco risentisse del S. Francesco del Greco, l’arte del quale, in grazia appunto di quella saporosa mistura di tecnica bizantina e di color veneziano, dovè piacere in sommo grado al giovine vaiacco, come quella che pur con qualche differenza nel colorito, gli ricordava quelle linee e quelle movenze, che, dalle sacre icone d’argento, in cui prima gli ochi suoi si erano affisati nella casa